ANNO 14 n° 118
Michelini: ''Mi sfiducino in consiglio''
Il sindaco non si dimette e vuole che i ribelli ci mettano la faccia
Intanto la situazione viterbese può arrivare sul tavolo di Renzi. E oggi c'è Fioroni
20/12/2015 - 02:00

di Andrea Arena

VITERBO – L'ennesima conferma – semmai fosse servita – che non c'è più religione è arrivata ieri sera, nella basilica di Santa Rosa. Quando uno dei sette consiglieri comunali di rito panunziano, il grottano Marco Volpi, è andato a consegnare al sindaco Michelini il documento con cui questa parte del Partito democratico sfiducia nella sostanza (ma non nella forma) l'operato della sua amministrazione. E dove glielo ha portato? Dentro la chiesa, durante quella messa del vescovo che ha fatto tanto parlare per altre ragioni, molto più alte di questa politica terra terra.

Micbelini ha letto il foglio (non è dato sapere se dopo essersi fatto il segno della croce), ha scambiato uno sguardo con la sua vice Luisa Ciambella e non ha fatto una grinza. Per intenderci: il sindaco non è intenzionato a rassegnare le dimissioni. ''Mi sfiduciassero in consiglio'', ha confidato agli assessori più vicini, mantenendo la linea già varata giovedì sera, al termine del più disastroso consiglio (e dire che ce ne sono stati...) del suo mandato. ''E' ora che si prendano le responsabilità di quello che stanno facendo, che ci mettano la faccia'', dicevano i consiglieri comunali fedeli al sindaco nel Pd uscendo dalla riunione di ieri pomeriggio nella sede del partito, in via Polidori. E ancora: ''In sette stanno facendo il delirio, delirio di onnipotenza''. Consiglio comunale del giudizio che potrebbe tenersi già martedì 29 dicembre.

Ma perché la corrente più mancina del Pd ha deciso di mollare il sindaco che ha eletto (e grazie al quale sono stati eletti anche tanti peones che altrimenti difficilmente sarebbero entrati a Palazzo dei priori per ragioni diverse di una visita turistica)? Non è dato sapere. Ed è questa incertezza, l'ultimo passaggio, che manda al manicomio i fioroniani. Se in occasione delle altre crisette, che pure ci sono state in passato, c'era una posta in palio, una poltrona nel rimpasto, una nomina di qua e una di là, stavolta non è dato sapere. L'operato del sindaco ha deluso? Può darsi, ma non basta mica per azionare la ghigliottina. L'allontanamento di Vannini dall'assessorato? Forse: ma per un Vannini che è uscito ci sono delle Perà e delle Troncarelli che entrarono in giunta, nel nome dell'equilibrio sopra la follia che ha sempre governato le cose.

E allora? La nomina – saltata – di Lorenzo Ciorba alla presidenza del collegio dei revisori dei conti? Ci può stare, specie nella guerra termonucleare globale tra Fioroni e Panunzi. Qualcuno sussurra: ''Enrico vuole spingere Peppino fuori dal partito, nelle braccia dei suoi Moderati e riformisti''. Ma pure questo non regge: Fioroni non se ne andrà dal Pd (che ha fondato e del quale controlla, volenti o nolenti, una bella fetta di voti a livello nazionale) e anzi ha già attivato i vertici del Nazareno, forse direttamente Renzi, per sottoporre loro il caso Viterbo.

''Un'amministrazione comunale, di un capoluogo di provincia, di centrosinistra che cade fa rumore anche a Roma'', spiegano. Comunque, già oggi pomeriggio, in un albergo di San Martino, il leader riunirà i suoi per i tradizionali auguri natalizi: un momento utile per capire come intende muoversi dentro questa crisi che, ad oggi, pende più per la fine anticipata del governo Michelini che per un suo salvataggio in zona Cesarini. Con grande soddisfazione non solo di parte del Pd, ma anche di quella opposizione che ha fatto ben poco per farla cadere e che dovrà giocoforza mandare un pacco natalizio a sinistra.

E allora, ecco che esporre i ribelli al voto in consiglio, pubblicamente, potrebbe essere una circostanza perfetta per prendere i proverbiali due piccioni con la proverbiale fava. Primo: costringere i dissidenti a metterci la faccia. Secondo: indicare i responsabili al giudizio dei viterbesi (che conta poco adesso ma tanto alle prossime elezioni) e a quelli degli organismi dirigenti del partito.





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