ANNO 14 n° 118
''Così la mia famiglia si è trovata a combattere virus e stupidità del sistema''
Un lutto, il contagio, l'isolamento, l'inadeguatezza dei protocolli Asl: il racconto di un mese da incubo
09/04/2020 - 06:50

VITERBO – (MDL) Signora A. quando è iniziato il suo isolamento?

''Ufficialmente è iniziato il 9 marzo e avrebbe dovuto concludersi il 27 marzo. In realtà sono in isolamento dal 5 marzo e, affinché io possa uscirne, è necessario che mi venga comunicato il risultato dell’ultimo tampone eseguito''.

Vuole spiegarci meglio?

''Mia madre, i primi giorni del mese di marzo, si è ammalata con sintomi parainfluenzali; il 5 marzo ho ipotizzato che i suoi sintomi potessero dipendere da un’infezione di COVID19, poiché aveva avuto contatti diretti con una persona di Viterbo che proprio il 5 ci informava della sua positività al tampone. Erano i giorni dei primissimi contagi qui a Viterbo''.

Cosa ha fatto?

''Io, mio padre e mio marito avevamo il numero dell’Unità di Crisi della ASL, allora costituitasi per monitorare malati e contatti dei malati di COVID. Oggi questa Unità di Crisi si chiama TOC (Team Operativo Coronavirus) e si divide in TOC1 e TOC2. Chiamavamo in continuazione, per sollecitare il tampone, ma era come trovare un muro di gomma, a volte rispondevano, a volte no, spesso trovavamo la barriera di operatori che sapevano solo far riferimento a presunti protocolli procedurali.

Io chiedevo che fosse fatto immediatamente il tampone a mia madre, perché stava male e poi anche a me e ai miei familiari. Io sono insegnante, i miei due figli frequentano la scuola, ero paralizzata, desideravo salvaguardare gli altri, ma non potevo scatenare il panico per una ipotesi non convalidata dai tamponi.

Poiché dalla ASL non intervenivano, mi sono auto-isolata e fortunatamente proprio il 5 marzo è subentrato il decreto di chiusura delle scuole. Questo decreto ci ha protetto da un disastro''.

Poi è arrivato il risultato del tampone di sua madre.

''Sì, al tardivo risultato del tampone è scattato l’isolamento domiciliare obbligatorio per tutta la mia famiglia, poi mia madre è stata ricoverata allo Spallanzani e purtroppo non è più tornata a casa, ma questo è un altro capitolo molto doloroso, di cui non voglio parlare''.

Suo padre?

''Mio padre è stato lasciato solo in casa, 81 anni, ipoacusico, in stato confusionale, denutrito, per lui non si riteneva necessario il ricovero perché non presentava febbre. Sono stati giorni terribili, mia sorella, a Roma, cercava di fare quello che poteva per mia madre, io, qui a Viterbo, cercavo di badare telefonicamente a papà, ma la situazione stava precipitando, allora ho alzato la voce con l’Unità di Crisi e finalmente è sopraggiunto anche il suo ricovero, qui a Belcolle''.

Aveva anche lui il Coronavirus?

''Si, ma con un quadro sintomatico anomalo, un dirigente medico è riuscito a farlo ricoverare secondo un protocollo di ''deterioramento cerebrale e fisico''. Se non fosse stato ricoverato sarebbe morto anche lui''.

Lei ha mai avuto sintomi?

''Io sono sempre stata bene, anche i miei familiari, un giorno io e mio marito abbiamo avuto un gran mal di testa, poi ogni tanto un po’ di pizzicore alla gola, ma niente di più''.

Si è mai preoccupata per la sua salute?

''Non molto, ero un leone in gabbia. Quando, dietro mia ulteriore grande insistenza è stato fatto il tampone a me e ai miei familiari, mi sono dovuta isolare anche da loro, perché io ero positiva e loro negativi''.

Come l’hanno monitorata dopo il risultato del tampone?

''Il risultato del mio tampone è arrivato il 14 marzo, quando tutta la nostra tragedia era quasi consumata.

Da quel momento è subentrato il monitoraggio dei TOC. Hanno voluto sapere nomi e recapiti delle persone che avrei potuto contagiare nei giorni addietro: per fortuna nel mio elenco c’era un solo nome, poi risultato negativo al tampone, perché avevo avuto il buon senso di auto-isolarmi e perché era subentrata la chiusura delle scuole, non certo per la tempestività della ASL.

Il monitoraggio consiste in telefonate pressoché quotidiane; non ho capito bene chi va in carico a TOC1 e chi a TOC2. Il TOC1 è costituito dai ''clinici'', il TOC2 è costituito da una equipe di psicologi, persone che hanno capacità umana e di dialogo.

So che questi operatori lavorano dalla mattina alla sera, hanno molti nuclei familiari da monitorare, ma ho anche capito che non dispongono di un database unico, per cui, ogni giorno, il nucleo familiare riceve chiamate da operatori differenti, ora del TOC1 ora del TOC2, spesso ci si sente rivolgere le stesse domande di routine (data di nascita, medico di base ecc.), poi fanno domande sullo stato di salute e ogni operatore si trova a dover ricostruire tutto il quadro, personale, familiare, di salute, dei tamponi, dando anche indicazioni contrastanti.

Questo aspetto ci è sembrato incredibile, non serve molto ingegno per predisporre un database unico per gestire pazienti e nuclei familiari, ma sia chiaro che questa non è responsabilità degli operatori.

Un giorno un operatore del TOC2 mi ha chiesto come stava la mamma, non sapeva niente, mi ha fatto le condoglianze; lo ringrazio perché si capiva che erano condoglianze sentite. Un’altra, invece, del TOC1, indispettita per la mia riluttanza a rispondere a domande già fatte mezz’ora prima da qualcun altro, mi ha detto ''Capisco la sua situazione! Però!'', poi mi ha attaccato il telefono in faccia; purtroppo quella dottoressa non ha mai capito niente, la conosco per nome dall’inizio di questa assurda vicenda, l’unica cosa che ha capito è la parola ''protocollo''.

Ha detto che la sua quarantena avrebbe dovuto chiudersi il 27 marzo, perché è ancora in isolamento?

''Da quello che so l’isolamento obbligatorio dovrebbe venir meno quando, esauriti i giorni assegnati, due tamponi svolti a distanza di 24/48 certificano la completa remissione della malattia e la non contagiosità del paziente. A fronte delle numerose telefonate che ho fatto, ho dedotto che non sussiste un univoco passaggio di consegne fra i TOC e la squadra operativa che si occupa dei tamponi, credo, quindi, che dopo il 27 marzo il mio ''plico'' si sia arenato da qualche parte. A seguito delle mie sollecitazioni è arrivata la squadra per il primo tampone e, dopo un ulteriore arenamento del mio plico e nuove sollecitazioni, è arrivata la squadra per il secondo tampone, di cui sto aspettando l’esito''.

Suo padre?

''È tornato a casa, dove, in qualche modo, provvede a cucinarsi grazie alla spesa che gli viene recapitata a domicilio dalla Cooperativa Zootecnica. Spero che i due tamponi di fine quarantena sopraggiungano celermente per lui, perché è una persona che necessita di aiuto per le sue incombenze quotidiane. L’altro ieri ha allagato la casa per un lavandino otturato, abbiamo anche chiamato il 113 perché non rispondeva al telefono da ore. È in contatto quotidiano con il servizio sociale della Asl, che si sta adoperando nella maniera migliore''.

Perché ha voluto rilasciare questa intervista?

''In questo momento i servizi della ASL di Viterbo, incaricati della gestione sanitaria dell’emergenza, presentano difetti organizzativi, carenze comunicative e modalità operative inefficienti e contraddittorie.

Quello che nei primi giorni era giustificabile con un 'Siamo stati presi alla sprovvista', non lo è più. Chi ha responsabilità organizzative e di coordinamento, non può più vivacchiare sul buon senso dei cittadini e sullo spirito di abnegazione degli operatori. Gli operatori sono oberati di lavoro, molti di loro lo svolgono con grande spirito umanitario, nonostante la paura, gli scarsi mezzi a disposizione e le inefficienze del sistema.

C’è gente che muore e ci sarà gente che morirà, ancora, per la stupidità del sistema, se il sistema non provvederà ad una sua revisione interna''.





Facebook Twitter Rss