ANNO 14 n° 118
Nuovo sopralluogo dei carabinieri nelle campagne circostanti villa Zappa
I 4 romeni oggi davanti al gip. Gli investigatori alla ricerca del portafoglio
e cacciavite: manca anche l’arma con cui è stato massacrato il professore
30/03/2012 - 04:00

di Alessia Serangeli

VITERBO – Restano gravissime le condizioni di Ausonio Zappa, il fondatore della Nuova Accademia delle Belle Arti di Viterbo e Milano aggredito nella notte il 27 ed il 28 marzo da quattro delinquenti di nazionalità romena nella sua villa alla periferia di Bagnaia.

Tutti, adesso, sono rinchiusi nel penitenziario di Mammagialla e compariranno stamani davanti al gip Francesco Rigato, che dovrà decidere se convalidare o meno l'arresto. Tutti hanno confessato. Ad eccezione di Alexander Petrica Trifan, il basista che ben conosceva villa Zappa essendo il figlio della badante che anni fa accudiva la suocera del professore.

“Conoscevano bene le abitudini della famiglia e, probabilmente, erano convinti che in casa non ci fosse nessuno perché la villa di Bagnaia era usata come residenza estiva”, ha spiegato il capitano Giovanni Martufi durante la conferenza stampa di ieri l’altro (28 marzo). Invece lui c’era.

Il povero Zappa stava dormendo quando è stato svegliato dai rumori provenienti dal soggiorno. “Ha azionato l’allarme – ha detto il pm Conti - scatenando la ferocia dei rapinatori”. Che, con una spranga di ferro, gli hanno massacrato il cranio lasciandolo in una pozza di sangue. “Coma irreversibile causato da emorragia ed edema cerebrale” il referto dei medici di Belcolle.

Mentre il papà delle Belle Arti – “uomo dalla tempra forte” racconta chi lo conosce – lotta in queste ore tra la vita e la morte, gli inquirenti continuano ad indagare.

“Ieri mattina abbiamo eseguito un nuovo sopralluogo in Strada Romana, nei pressi della villa teatro dell’agguato”, hanno fatto sapere dal Comando provinciale dei carabinieri.

A seguire il caso, in particolare, sono gli uomini del Nucleo investigativo e i colleghi del Radiomobile, impegnati nelle ricerche del“portafoglio e dell’arma con cui è stata colpita la vittima”. All’appello manca anche il cacciavite utilizzato per far irruzione nella casa.

Nell’appartamento in via della Palazzina di Petrit Cosmin Ofrea ed Adrian Nicusor Salicir (gli autori materiali dell’aggressione; gli stessi che, quella notte, non appena arrivati a casa hanno avuto l’accortezza di azionare la lavatrice per lavare gli indumenti che avevano indosso e che, quasi sicuramente, erano macchiati del sangue della loro vittima) i militari avevano trovato le chiavi dell’auto di Zappa (un’Audi) e le carte di credito, ma non il portafoglio, “di cui si sono disfatti durante la fuga”. Anche la spranga, con ogni probabilità, è stata lasciata nelle campagne circostanti la casa di Zappa.

Il sopralluogo di ieri mattina, tuttavia, non ha dato esito positivo. “Torneremo sul posto”, hanno assicurato gli uomini dell’Arma che, intanto, lavorano anche sui quei supporti elettronici ed informatici rinvenuti nel domicilio dei romeni. “Sicuramente – gli inquirenti ne sono convinti - si tratta di materiale oggetto di altri furti”.

Nota a margine. Come riportato anche ieri, il gravissimo episodio di cronaca ha scosso l’opinione pubblica nazionale. La brutale aggressione che ha ridotto in fin di vita Ausonio Zappa è la notizia del giorno, da due giorni, su tivvù e giornali; in piazza e per strada.

Reazioni e commenti, in alcuni casi indicibili, sono più che comprensibili. “Bastardi, tornatevene a casa vostra” è soltanto un accenno a quanto un gruppetto di persone gridava ai quattro romeni mentre, dalla caserma di via de Lellis, venivano tradotti in carcere. La gente ha paura. E ha ragione. Non si sente sicura ma impotente; è consapevole di non essere difesa da chi ha il compito, meglio il dovere, di farlo.

Prima ancora delle forze dell’ordine che, in primis, “vivono la frustrazione continua di veder vanificati i loro sforzi da procuratori di ‘larghe vedute’”. Così scrive in una lettera aperta il figlio di Zappa, Gianluca, che porta alla ribalta “la certezza della pena come deterrente”, ma invita a “non scatenare la caccia all’extracomunitario”. (Parole che, dette da chi è rimasto coinvolto in prima persona suo malgrado, non possono che suscitare stima e ammirazione).

 

 





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