di Alessandro Soli
CIVITA CASTELLANA - Argomento molto gettonato in questi giorni di calura anomala, che mi riporta a momenti e sensazioni vissute nella mia infanzia civitonica degli anni ’60.
Come eravamo
“Co sta callàccia che ffà, sudo che sgrònno”
Non è un caso se riporto sul titolo le parole dialettali del prof. Luigi Cimarra, tratte dal suo volume “Vocabolario del dialetto di Civita Castellana”. Stiamo vivendo questo periodo di caldo anomalo, asfissiante, insopportabile, attribuito a mille motivi che tutti sappiamo, che non sto qui a specificare. Ma ho preso spunto dalla parola prettamente civitonica “sgronnà” (it. Grondare di sudore), per ritornare con la mente alle estati infuocate degli anni ’50-’60 fatte di tuffi e nuotate ristrette, lungo i rivoli d’acqua che scendevano dalle “forre civitoniche”, verso il fiume Treja. Era quello il nostro refrigerio, noi ragazzini di allora, ci precipitavamo verso: “Allegata”, “Cavò”, “‘A Brecciara”, “L’Arbero Viola” (quest’ultimo già da allora sito mio preferito…. chi mi conosce, sa perché), era lì che imparavamo a nuotare, sfidando l’acqua pesante e la corrente.
Era lì che facevamo i primi tuffi, a volte pericolosi, perché effettuati dai massi sporgenti dal letto del fiume, noi sceglievamo però i punti dove l’acqua aveva scavato buche sabbiose e la sua quantità era sufficiente per una sicura risalita. Ritornando a ‘o callo (come se dice a Civita), ricordo le nostre vie bagnate da ‘o pisciabbòtte, un camioncino munito di autobotte, che spruzzava dalla parte anteriore getti d’acqua che annaffiavano la sede stradale, la pulivano e nello stesso tempo creavano quel senso di frescura. E qui voglio ricordare un personaggio civitonico, dipendente comunale, che effettuava questo servizio, integrandolo al suo lavoro di vigile urbano Empo Meloni.
Poi i giochi rinfrescanti tipicamente estivi, come ‘a schizzarella, dalla parola è palese il gesto che facevamo l’uno verso l’altro, schizzando acqua a seconda del luogo dei giochi, dalla fontanella (dopo aver caricato appunto la pistola a schizzo), o durante le escursioni giù a ‘o fosso, o meglio al lago e al mare. A proposito di fresco, era di moda ai miei tempi il rito della “mostratella”, in genere si faceva usando il frutto estivo per eccellenza “‘o cocommero” anguria in italiano. Nel mangiarlo, ci si avvicinava e di soppiatto strofinavamo le fette sul viso degli amici, creando oltre al riso della comitiva, quel senso appunto di sbrodolata frescura. Mentre scrivo, e lo ripeto sempre, spero di allietare, almeno nei ricordi, le generazioni passate, con la speranza, mai doma, che i giovani, leggendo quanto sopra, vi chiedano, ci chiedano, mi chiedano: Ma voi, così… stavate freschi?