ANNO 15 n° 120
“Carmina non dant panem“ e “Quanno nun so che fa”
C’era una volta a Civita, rubrica a cura di Alessandro Soli
24/11/2023 - 02:02

di Alessandro Soli

 

CIVITA CASTELLANA - Lo scrivere, oggi come da sempre, non ti porta a navigare nell’oro, ma ti rende libero di pensare ed apprezzare la vita che abbiamo avuto in dono.

Carmina non dant panem… sed mentem àdiuvant

I Romani dicevano “Carmina non dant panem” che tradotto integralmente significa “I versi non ti danno il pane”, cioè come dire che lo scrivere non ti dà da mangiare (tranne per qualche eccezione), allora mi sono permesso di aggiungere, sempre in latino “Sed mentem àdiuvant“, cioè “Ma aiutano la mente“, ti aprono il cervello. Quanto siano vere queste due affermazioni è la vita stessa che ne avvalora il significato. Fermare su di un pezzo di carta le sensazioni, le idee, le emozioni che il nostro cervello ci propina a getto continuo, non è facile, anche perché non tutti ahimè ne sono capaci, e non tutti ne hanno voglia.

Infatti non tutti siamo scrittori, non tutti siamo poeti, ma tutti abbiamo un cervello, che deve essere aiutato, e perché no, magari scrivendo, qualunque cosa, ma scrivendo. Se poi il nostro scrivere, o creare versi poetici, oltre ad aprire la nostra mente, riesce ad aiutare chi legge, allora abbiamo raggiunto non uno, ma due traguardi. Personalmente vi debbo confessare che lo scrivere come sto facendo adesso, non è che mi affascina e soddisfa, mi spiego meglio: digitare i caratteri sulla tastiera e vederli stampati, mi danno un so che di freddezza, di aridità, cosa invece che il poterlo fare vergandoli su di un foglio bianco, adoperando una biro, o addirittura una penna ad inchiostro, usando la mia calligrafia, sarebbe il massimo.

E’ vero sono un romantico anche su queste affermazioni, che mi fanno dimenticare l’importanza che il progresso ha messo a disposizione dei nostri sentimenti da oltre un secolo, per ciò che riguarda la digitazione, e da vari secoli riguardo la stampa. Ma come faccio a dire certe cose, proprio oggi che siamo “bombardati” dalla tecnologia estrema, che cerca in ogni modo di toglierci tutto, dandoci tutto e subito. Sul toglierci tutto, a parte le riflessioni e i racconti sul “Come eravamo”, che ancora mi sforzo a proporre, unitamente alle tradizioni e ai ricordi, che nessun progresso riuscirà mai a togliere dalla nostra mente, non credo ci riuscirà.

Sul dandoci tutto e subito, sono terrorizzato perché il benessere raggiunto (spero di sbagliarmi) ci sta portando verso la perdita totale di quei valori fin qui essenziali per la nostra esistenza, mi riferisco all’educazione, al rispetto, all’onestà, all’amicizia. Per concludere vi propongo una mia vecchia poesia, scritta tanti anni fa, mai pubblicata:

 

“Quanno nun so che fa”

Quanno nun so che fa

Pijo un fòjo e ‘ncomincio a scarabbocchià.

Tiro fora’a rabbia che ciò drento…

quella che me porto appresso già da prima,

pe’ fà sti quattro versi co’ la rima.

Aripenzo ar monno che me gira ‘ntorno:

a chi cià li sòrdi e nun te vede,

a chi piagne giorno doppo giorno,

e la fame je passa co’ la fede.

Filosofo nun sò, poeta manco,

me toccherà morì…povero e stanco?





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