ANNO 14 n° 118
Le rivendicazioni e i piani del boss: ''Diventare amico mio è l'unica soluzione''
Mafia viterbese, ancora le intercettazioni protagoniste del processo a carico di Ionel Pavel, Manuel Pecci ed Emanuele Erasmi
25/06/2020 - 06:51

VITERBO - Ancora minacce e intimidazioni. Ancora atti incendiari. E ancora le intercettazioni come protagoniste assolute del processo per mafia viterbese. 

Nuova udienza ieri mattina per Ionel Pavel, Emanuele Erasmi e Manuel Pecci, gli unici dei tredici arrestati nel maxiblitz del 25 gennaio 2019 a dover rispondere solamente dell'aggravante del metodo mafioso. La prima, dopo la condanna per associazione mafiosa alla banda di Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi: oltre 75 anni di carcere in tatole. 13 anni e 4 mesi e 12 anni rispettivamente ai due vertici del sodalizio, riconosciuto come di stampo mafioso.

Si è parlato ancora del gruppo, nelle oltre quattro ore di controesame del maggiore dei carabinieri Marcello Egidio: ''L'associazione aveva un'organizzazione piramidale, ai cui vertici troviamo il calabrese Trovato e l'albanese Rebeshi. Sotto di loro, il resto del gruppo che condivideva gli obiettivi criminali''. Per gli inquirenti e anche per il gup romano Emanuela Attura che quattordici giorni fa ha condannato l'intero gruppo a oltre 79 anni di carcere per mafia, eccezion fatta per la commessa Martina Guadagno, ''tutti erano a conoscenza delle finalità delle azioni dei due vertici: arrivare al controllo del territorio''. Un controllo che si traduceva nell'azzerare la concorrenza nel mercato dei Compro Oro, dei traslochi, dei locali notturni e anche nel mercato illegale dello spaccio di droga. 

''Droga di cui facevano uso sporadicamente - come ha spiegato il maggiore - anche all'interno delle auto in cui venivano intercettati: ci sono dei rumori inequivocabili''. 

Al centro della ricostruzione del maggiore di ieri mattina di fronte al collegio presieduto dal giudice Gaetano Mautone anche il racconto delle vittime che hanno subito atti intimidatori: ''All'inizio non c'è stato sentore di quello che stava accadendo in città, poi con il susseguirsi degli episodi la situazione ha iniziato a diventare più chiara. Anche quei primi incendi che i vigili del fuoco avevano identificato come accidentali, hanno mostrato la loro natura dolosa''. 

''Giuseppe Trovato voleva raggiungere il controllo delle principali attività economiche della città e per farlo doveva abbattare qualunque cosa si frapponesse tra la banda e i suoi obiettivi''. Per questo sarebbe stato sistematico l'uso della violenza e delle intimidazioni. Per spaventare i suoi interlocutori. ''Trovato rivendiva legami con la criminalità organizzata calabrese e ne condivideva i modi, come le teste mozzate di animali fatte recapitare alle vittime in segno di avvertimento''. 

''Diventare amico mio è l'unica soluzione'' avrebbe detto in una delle centinaia di conversazioni intercettate dagli inquirenti. 

Si tornerà in aula tra una manciata di giorni. 





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