ANNO 14 n° 118
''Due auto incendiate, teste mozzate di animali e vetrine sfondate mi hanno portato a chiudere''
Mafia viterbese, in aula continuano a sfidare le vittime del sodalizio
La titolare di un Compro Oro: ''Ho iniziato a temere per me e per la mia famiglia''
01/07/2020 - 06:18

VITERBO – ''Due auto incendiate nell’arco di due settimane, la vetrina del negozio sfondata a martellate, ceri votivi di fronte all’ingresso, minacce scritte sui muri e due testi mozzate di animali con altrettanti proiettili conficcati all’interno: è per questo che ho deciso di chiudere la mia attività. Vivevo nel terrore per me e per la mia famiglia. Avevo attacchi di panico e non riuscivo più a stare in luoghi chiusi. Ero diffidente nei confronti di chiunque avessi davanti. Non sapevo da che parte venisse il pericolo, chi fosse ad avercela con me e così temevo tutti''.

A ricostruire quei drammatici mesi di minacce, intimidazioni e attentati è la titolare di un Compro Oro di via Genova caduta nella rete della banda di Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi, i due vertici di un’associazione criminale di stampo mafioso condannata a oltre 79 anni di carcere, che a cavallo tra il 2017 e il 2019 tentò di imporre il proprio controllo sulla città di Viterbo. Ieri mattina di fronte al tribunale di via Falcone e Borsellino la nuova udienza a carico di Ionel Pavel, Manuel Pecci ed Emanuele Erasmi, gli unici tre arrestati all’alba del 25 gennaio 2019 a non dover rispondere del reato associativo, ma ''solamente'' dell’aggravante del metodo mafioso. Un’udienza ancora incentrata sulle ricostruzioni delle vittime della banda e sulle articolate indagini dei carabinieri: ancora lontana dall’entrare veramente nel vivo per i tre imputati.

''Quando la prima macchina è stata date alle fiamme non ho avuto alcun dubbio che si fosse trattato di un incidente – ha spiegato l’ex titolare del Compro Oro – anche i vigili del fuoco avevano esclusa la natura dolosa delle fiamme. Ma quando un paio di settimane dopo anche l’auto che mi aveva prestato mio cognato per venire a lavoro è stata incendiata, ho cominciato a sospettare che qualcuno ce l’avesse con me''.

La certezza sarebbe arrivata una manciata di giorni dopo: ''Sono stata chiamata perché di fronte al mio negozio c’era la polizia: qualcuno aveva rotto la vetrina a colpi di martello, messo dei lumini di fronte all’ingresso e scritto al lato della porta una minaccia. È in quel momento che ho iniziato ad avere paura. Per me e per la mia famiglia. Soprattutto mia figlia che passava gran parte delle sue giornate con me dopo scuola''.

''Io abito a Terni e avevo aperto quell’attività a Viterbo nel 2011 – ha spiegato ai giudici – nel 2018 ho chiuso. Non certo per mia volontà. Il lavoro è un diritto di ciascuno, ma vivevo nel terrore: gli attacchi di panico erano continui e non riuscivo più a gestire l’attività''.

L’ennesimo episodio il 10 novembre del 2017: ‘’Mi ha chiamato il maggiore dei carabinieri dicendomi che davanti al Compro Oro erano state trovate teste mozzate e insanguinate di animali’’. Una chiara minaccia in stile mafioso, a firma della banda italo-albanese. ''Fortunatamente mi risparmiò la vista di quello scempio''.

Secondo quanto ipotizzato dalla vittima, lei come altri gestori di Compro Oro sarebbero stati presi di mira da Giuseppe Trovato ‘’’perché avevamo dei prezzi più concorrenziali. Io pagavo l’oro ai miei clienti ad un prezzo più alto: forse ci perdevo qualcosina, ma preferivo lavorare tutti i giorni’’.

Una libera concorrenza indigesta ai piani del calabrese Trovato che dopo numerose intimidazioni sarebbe riuscito nei suoi piani criminali: ''A marzo del 2018 ho chiuso. Quella non era più vita''.





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