di Barbara Bianchi
VITERBO - Da Londra non si avrebbero più notizie su di lei. Nessuna traccia della 29enne Alina Elisabeta Ambrus, già condannata a 5 anni di reclusione per aver dato alla luce e gettato in un cassonetto di via Agostino Solieri il feto di 28 settimane che fino a pochi istanti prima portava in grembo.
Ieri sarebbe dovuta arrivare a Viterbo come super testimone della difesa nel processo a carico di Graziano Rappuoli, l’infermiere 58enne di Tuscania, accusato di omicidio e occultamento di cadavere. Ma neppure la Questura sarebbe riuscita a rintracciarla. Slitta così di alcune settimane l’udienza a carico dell’uomo che, secondo la Procura, avrebbe aiutato la giovane donna, di nazionalità rumena, a reperire il farmaco per indurre il parto e poi a sbarazzarsi del corpicino, gettandolo in un cassonetto dei rifiuti al Salamaro.
Condannata in primo grado a 10 anni di carcere, la pena per la donna è stata poi drasticamente ridotta dalla Corte di Appello di Roma: 5 anni per ‘’infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale’’. Ed ora sarà una corsa contro il tempo per rintracciarla: entro l’udienza di metà giugno, la 29enne dovrà arrivare a Viterbo per ricostruire, come testimone, quei drammatici momenti all’interno del suo appartamento di San Faustino, altrimenti il tribunale potrebbe decidere di acquisire i verbali delle sue dichiarazioni rese immediatamente dopo l’accesso in pronto soccorso.
A ritrovare il feto, nel maggio del 2013, avvolto in asciugamani, carta stagnola e busta, due agenti di polizia, allertati dal medici dell’ospedale: la Ambrus presentava i chiari segni del parto, ma del piccolo non ce ne sarebbe stata traccia.
Rimangono in piedi le accuse per l'infermiere 58enne: di fronte alla Corte d'Assise deve rispondere di omicidio e occultamento di cadavere. L'uomo è difeso dell'avvocato Samuele De Santis.