ANNO 14 n° 117
La Viterbese, il caso Vegnaduzzo e una società che non c'è più
L'allarmante silenzio di fronte
ai tanti problemi economici del club

VITERBO - La cosa più allarmante, anzi disarmante, è che nessuno si sia fatto vivo ufficialmente. Silenzio. Indifferenza. Facciamo finta di niente. Eppure, sabato mattina un procuratore – uno serio, e conosciuto, ma anche esasperato – era arrivato in città, aveva indetto una conferenza stampa, e aveva lanciato il suo grido di dolore. Suo e del suo assistito, Mattias Vegnaduzzo, un giocatore bravo (il migliore che ha in rosa la Viterbese? Sì) e anche un 30enne argentino, catapultato al di qua dell’Oceano per dare calci ad un pallone. Un ragazzo con una moglie e due figli, tra l’altro. Be’, questo attaccante straordinario, autore di 13 gol nella passata stagione (decisivi per la salvezza) e di altri 17 quest’anno, ancora deve ricevere un bel mucchio di soldi dalla Viterbese. Ha aspettato, con pazienza. In estate è potuto tornare nella sua San Isidro (cittadina della Grande Buenos Aires, l’area metropolitana della capitale) soltanto grazie ai soldi prestatigli dal suo procuratore, Leopoldo Ciprianetti. Quello che sabato, dopo l’ennesimo rinvio, le ennesime promesse disattese, i depistaggi, le bugie, non ce l’ha fatta più, e ha lanciato l’ultimatum: “Se entro lunedì 25 marzo non avremo garanzie, Mattias se ne andrà dalla Viterbese. A malincuore, ma è una questione di rispettare gli impegni presi”.

Tutto questo, in una qualsiasi altra realtà calcistica del mondo, avrebbe sollevato un polverone bestiale. Tanto più che lo stesso bomber, il giorno successivo, ha avuto il cuore di scendere comunque in campo a Scandicci e ha avuto pure le palle per segnare due gol decisivi per la vittoria gialloblu. Tutto questo, in una qualsiasi altra realtà calcistica del mondo, avrebbe comportato almeno una presa di posizione ufficiale da parte della società chiamata in causa. Una replica. Uno straccio di comunicato. Una pubblica dichiarazione. Tipo: “Ci impegniamo di fronte al giocatore, al procuratore, alla città e ai tifosi a onorare quanto prima le spettanze”. Oppure: “Siamo profondamente dispiaciuti di non poter soddisfare le richieste, seppur legittime, di Vegnaduzzo: purtroppo non c’è più una lira”. O ancora, in spregio del ridicolo: “Chiediamo a Mattias di venirci incontro e di pazientare ancora un po’, fino a quando potremo pagarlo”. Non ci sarebbe stato nulla di cui vergognarsi, a dire cose del genere. Anzi, sarebbe stato un gesto di chiarezza nei confronti di tutti. Un gesto per cercare di ripristinare un minimo di normalità in una situazione drammatica, se solo non fosse grottesca.

Invece da via della Palazzina si è continuato con la linea del silenzio, imbarazzante e imbarazzato. Anche perché chi avrebbe potuto prendersi una responsabilità del genere? Questa società, la As Viterbese calcio attualmente non ha un presidente, perché la carica è vacante dal 4 marzo scorso. Non ha un direttore generale, perché colui che era stato designato ha gentilmente declinato l’offerta. Ha due vicepresidenti, uno nuovo ed “esecutivo” Massimiliano Petrelli) e un altro, Maurizio Donsanti, che non ha mai avuto accesso alla stanza dei bottoni (e a quella degli assegni..) e che domenica non era neanche a Scandicci. Resta il direttore sportivo Manfra, uomo di calcio prestato in questi giorni anche ad altre mansioni: ma l’impressione è che si stia trovando a dover svuotare il mare con un cucchiaino.

Insomma,  la società è quella che è, le casse sono quelle che sono, ma sull’atteggiamento, la disponibilità, la sincerità, si può e si deve fare di più. A cominciare dal raccontare esattamente come stanno le cose. Lorsignori se ne stanno davvero rinchiusi nel bunker in attesa della fine del mondo? Oppure sperano che arrivi un miracolo a salvare la baracca? Di certo non possono illudersi che potrebbe bastare la promozione in Lega Pro a risolvere tutti i problemi della società. Anche perché la parola d’ordine fondamentale è sanità. Quella dei conti, ma anche quella mentale.






Facebook Twitter Rss