ANNO 14 n° 120
Centrale della droga al Castellaccio
L’agriturismo terminale
di un’attività di spaccio milionaria
26/06/2013 - 04:00

di Alessia Serangeli

VITERBO – Chili e chili di cocaina mischiati a farina; altrettanti di hashish, marijuana ed amnésia imboscati tra balle di fieno ed animali. Un’attività a conduzione familiare estremamente fiorente e portata avanti per anni con dedizione e spirito di sacrificio. Moglie, marito e i figli (un maschio e due femmine): C.G., B.M.T., C.O., C.S., e C. S.. Con loro anche F.L., fidanzata del giovane C.O..

E’ da un agriturismo situato nelle verdi campagne tra Marta e Tuscania (“Il Castellaccio”, in località San Savino tanto per essere precisi), che parte la maxi operazione con cui i carabinieri del colonnello Gianluca Dell’Agnello hanno sgominato un imponente traffico di droga snodato sulla tratta Roma-Viterbo. E provincia.

Il blitz. Nome in codice: Drum, tamburo battente. L’ora x è scattata alle prime luci dell’alba di ieri, quando sono entrati in azione la bellezza di oltre quattrocento uomini, più di cento mezzi, unità cinofile ed un elicottero dislocati tra la Tuscia e la Capitale. Un dispositivo pianificato nel dettaglio dal comandante provinciale in persona, che ha consentito “la perfetta esecuzione della vasta e complessa operazione di polizia”. Così il sostituto procuratore Renzo Petroselli, titolare del fascicolo (conta di ben seicento pagine!), che ha aperto la conferenza stampa convocata ieri per illustrare i dettagli di un blitz condotto brillantemente. Perché quei tre indagati (su sessantuno) che mancano ancora all’appello hanno le ore contate. “Saranno reperiti al più presto”, ha detto con toni sibillini Petroselli.

Tutti gli altri, intanto, sono caduti nella maxi retata dell’Arma. Si tratta di cinquantotto soggetti con l’aggiunta di altri tre, per i quali l’arresto è scattato in flagranza di reato nel corso delle centoundici perquisizioni effettuate. (Quaranta sono in carcere e ventuno in regime di detenzione domiciliare).

Per tutti i reati contestati a vario titolo sono concorso in detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsione. Sì, perché tra i 450 episodi di incontri e cessioni di droga accertati e documentati (l’attività di indagine si è avvalsa anche di intercettazioni telefoniche ed ambientali) non sono mancate minacce, pressioni (anche via mail ed sms) e botte nei casi in cui l’acquirente risultava debitore. “Almeno due i soggetti finiti in ospedale dopo essere stati picchiati selvaggiamente”.

Gli arresti e le perquisizioni. Dislocati in mezza provincia e in sei quartieri della Capitale. I militari del Comando provinciale hanno operato - oltre che nel capoluogo dove è stato eseguito un mandato di cattura - a Tuscania, Marta, Montefiascone, Arlena di Castro, Capodimonte e Piansano. Ma anche Milano, Urbino, Ascoli Piceno, Latina e Civitavecchia. Con l’ausilio logistico dei colleghi di Roma, poi, altri arresti sono stati eseguiti nei quartieri San Basilio, Cassia, Olgiata, Monte Mario, Trionfale e Acilia.

Durante lo sviluppo dell’attività di indagine, partita esattamente un anno fa, inoltre, erano già stati arrestati in flagranza undici pusher e sequestrate rilevanti quantità di droga, tra cocaina, hashish e marijuana.

“Nel corso delle perquisizioni effettuate nei confronti dei soggetti arrestati – ha spiegato il capitano Giovanni Martufi, comandante del Nucleo investigativo – abbiamo sequestrato un chilo e duecento grammi di hashish, sessanta di marijuana, numerose dosi di cocaina e due piante di canapa indica”. Più 51.500 euro contanti ritenuti provento dell’attività di spaccio ed una mattonella da mezzo chilo di cocaina purissima e marchiata con una “X” (segno distintivo dei trafficanti colombiani) che, suddivisa in dosi (“se ne sarebbero ricavate migliaia), avrebbe fruttato almeno 180mila euro. E non c’è da stupirsi se “parliamo di un movimento che supera il milione di euro l’anno”, ha sottolineato Martufi.

Ma c’è di più. Il blitz ha consentito di stroncare sul nascere l’immissione sulla piazza di spaccio viterbese di un nuova pericolosissima droga. Si tratta dell’amnésia, un mix di eroina, metadone e marijuana. Esplosivo. L’effetto di questo stupefacente, che agisce velocemente, è la momentanea perdita di memoria. “Ti fa scordare tutti i guai”, si legge nei forum di chi l’ha provata.

Il modus operandi. Pianificato magistralmente. Arguti. Estremamente arguti. Tanto che, sulle prime, riuscivano ad ingannare gli stessi inquirenti. Temevano di essere intercettati e, per questo, “cambiavano spesso le schede sim dei cellulari e si davano appuntamenti con orari e luoghi falsi”.

Al vertice dell’organizzazione criminale c’era la famiglia prima citata, proprietaria dell’agriturismo sulla strada Martana e di tre forni. Terminali di tutta l’attività di spaccio perché, qui, tra farinacei erba e fieno, cocaina, hashish e marijuana ben si prestavano per essere occultati ad arte.

“Per la distribuzione al dettaglio potevano avvalersi di una vasta rete di pusher – ha detto il colonnello Dell’Agnello - molti dei quali legati ai componenti della famiglia da vincoli di parentela e, quindi, ritenuti più affidabili”. E stavano sempre bene attenti: tutti i principali affari con le diverse organizzazioni romane erano conclusi esclusivamente da uno di loro.

“Gli interlocutori erano i referenti delle più importanti organizzazioni legate al traffico di stupefacenti della Capitale: i clan di San Basilio e i dominus della droga dell’Olgiata e del litorale”.

Con questi, per gli ordinativi più importanti, parlavano in codice. “Sono arrivate le pecore”, “mi devi pagare le balle di fieno”, mi servono i pali per il recinto”, per questo fine settimana portami più farina”.

A portare da Roma all’agriturismo la droga, infine, erano numerosi corrieri, assoldati anche occasionalmente tra persone incensurate ed anziani in difficoltà economica.





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