ANNO 14 n° 117
Punk forever, Sciare è...
>>>> di Massimiliano Capo <<<<
02/09/2013 - 04:00

di Massimiliano Capo

Ho deciso. Mi affido a I-Ching.

Non per prendere una decisione epocale per la mia esistenza che di decisioni epocali non abbisogna.

Ma per scrivere questa cartella e mezza che Flavia mi sta sollecitando. Vuole andare al mare ad abbronzarsi, lei giornalista e fashion blogger che non potrebbemai stare senza un velo di ambra a colorarle l’epidermide.

Io ci sto pensando dalle seieventidue di stamattina ventisetteagostoduemilatredici e non so decidermi e allora, insomma.

Insomma tiro le tre monete, compongo la figura e vado a leggere come interpretarla. Sono qui davanti al pc, mia madre scodella il pranzo nella stanza accanto e io mi affretto a leggere i risultati.

Ero partito per comporre un articolo fatto solo di citazioni per raccontare l’emozione di scrivere e invece il libro dei mutamenti mi suggerisce inequivocabilmente che è estate e che io di qualcosa di estivo, cioè leggero e cazzone, devo scrivere.

Insomma, eccomi di nuovo qui a raccontare una mia storia tipo sfigata (così mi ha detto la mia ex stamattina alle undicietrenta). Perché io di storie tipo sfigate sono pieno, e questo l’ho detto io.

Veniamo a noi, che mezza cartella è già andata con la premessa.

Nelmillenocentottantacinque io sono andato per la prima volta in montagna.

Insomma, ci ero già stato nel millenovecentosettantotto ed era estate ed ero con i miei e ho camminato nei boschi e faceva fresco ed era agosto e anche i sedili di pelle finta della Kadett 1000 non bruciavano il culo come al mare e mi sembrava tutto meraviglioso, le cime innevate, il lago così pulito che ci potevi bere, gli stambecchi e gli scoiattoli lungo la strada, le case di legno, i covoni di grano che forse non c’erano. Insomma sembrava di stare sulle montagne di Heidi a cui sorridono i monti e a me Heidi piaceva a la vedevo sempre come il dolce Remì piccolo come sei e Goldrake e Jeeg Robot d’acciaio e i cartoni animati cecoslovacchi che facevano sulla Rai tristi come poche cose al mondo ma io avevo fede nelle magnifiche sorti e progressive dell’esteuropa e pensavo di non capirli, che fosse colpa mia, e invece no erano tristi e basta. Come l’esteuropa del tempo.

Insomma, nel millenovecentottantacinque andai per la prima volta in montagna a sciare.

Era inverno, tipo le vacanze di pasqua perché andavo ancora a scuola e non avevo nemmeno la patente e partimmo in quattro per andare a casa dello zio di Stefano a Passo del Tonale che io non sapevo nemmeno esistesse e poi dopo ci è nata la Lega lì intorno e tutti già erano del nord pure prima della Lega. Erano gli anni di Campus, lo shampoo alla mela verde che ti intasava le nari col suo afrore che chiamarlo profumo non rende l’idea e quella pubblicità con la tipa con un casco di mele in testa manco fossero banane che a guardarla sembrava una sorta di marziana in salsa africana vista da un disegnatore razzista.

Insomma, dopo un viaggio di ore in una citroenvisarossa piena di bagagli e stretti stretti tra giacche a vento e pantaloni da sci attillati che manco Nureief e cappelli e occhiali da sole a specchio e poi vestiti e maglioncini fichetti e timberland e insomma tutto quanto serviva per stare in pista sia sulla neve sia nella disco del luogo, insomma siamo arrivati a questo Passo del Tonale che era sera e lì sembrava notte e c’era la neve ovunque e un freddo mai sentito e un termometro fisso a meno sedici.

Con l’ottimismo della volontà dei diciottenni in vacanza la sera passa a far programmi e a mangiare gli improbabili spaghetti mai cucinati prima e a tirar tardi per l’adrenalina della novità e il miraggio delle tipe da conquistare sulle piste con la scioltezza dello sciatore che non ero e poi da portare in disco con la sicurezza dell’amatore che non riuscivo nemmeno ad immaginare di essere.

Insomma si va a letto che la casa sembrava un bivacco western e appuntamento alla mattina seguente, presto perché bisogna affittare gli sci e gli scarponi che io non avevo.

All’alba in montagna fa freddissimo e ci sono le nuvole e poi un pallido sole e poi il sole ma il freddo non cambia e io odio il freddo e con i calzoni da sci tipo nureief esco per andare ad affittare sci e scarponi e mi infilo nel negozio e con me c’è Andrea che anche lui non aveva sci e scarponi e come non aveva mai sciato e come me sulla neve al massimo era stato a piazza crispi a fare a pallate dopo la scuola.

Insomma entriamo e il tipo che aveva più o meno lo stesso accento e la stessa cordialità di umbertobossi ci chiede cosa sappiamo fare e come sciamo e cosa vogliamo fare in quella settimana. Dopo un primo momento di esitazione e un maldestro tentativo di fingerci quello che non siamo e cioè degli sciatori di medio livello confessiamo di essere dei principianti assoluti e allora lui sceglie gli sci e gli scarponi e ce li mette sul tavolo e ci dice di provarli e poi ci sistema gli attacchi degli sci.

Al tempo gli sci erano di una lunghezza improbabile non come adesso e più eri una mezza sega e più, non so in base a quale teoria, gli sci dovevano essere lunghi, cioè a me li ha dati lunghi duemetrierotti e al mio amico Andrea che era alto quasi unoenovanta tipo duemetrieventi.

Sembravano di legno e lo erano più o meno, nulla a che vedere con quelli che si vedevano la mattina della domenica nelle gare di sci in bianco e nero sulla rai commentate da alfredopigna tutti colorati e fichissimi. Questi erano monocolore e da sfigati e noi subito a pensare che non ci avrebbe guardato nessuna delle fiche che immaginavamo sulle piste e quindi riconvertimmo le nostre speranze di potenziali amatori nella nostra certa capacità di stare al bar a non fare un cazzo e allora via a cercare i rifugi vicini e sticazzi dello sci. E poi gli scarponi di un duro e rigido mai sentito con i polpacci spezzati e i piedi ormai quelli di una mummia.

Insomma, usciamo dall’antro maleodorante dell’affittasci e con quattrometriemezzo di legno in due sulle spalle e gli scarponi ai piedi ci avviamo verso la pista per le mezze seghe in fondo al passo del tonale.

Intanto camminare così sarebbero cazzi anche in pianura ma in montagna col freddo il ghiaccio per terra e l’ossigeno che manca e la brezza che ti congela, insomma si fatica tantissimo.

E io odio faticare ma arrivo comunque alla pista e infilo gli sci e mi metto in fila allo skilift che è una piccola ruota legata ad un filo che si mette tra le gambe e ti trascina in alto che a saperlo fare è facile ma a non averlo mai visto prima è come provare ad andare a cavallo senza sella.

Mi avvicino preoccupato, con l’aria da cittadino poco avvezzo alle durezze della montagna e il tipo mi infila il cerchio tra le gambe e mi dice piegati e poi sfilalo all’arrivo ma non troppo presto e nemmeno troppo tardi e poi rilassati e poi intorno a me solo bambini piccoli e il mio amico Andrea altro quasi unmentroenovanta con duemetriemezzo di sci di legno e allora lo guardo e lui mi guarda e ci diciamo vai e andiamo e la corda tira io avanti e lui dietro e intorno bambini che non cadono mai e che vanno velocissimi su una pista che è quasi una pianura ma a me sembra ripidissima e arrivo in cima e mi stacco e resto fermo li in cima non sapendo cosa fare ma la posa è plastica tipo da foto e poi arriva Andrea che si stacca troppo presto e cade e il bambino dietro si mette paura e cade e insomma il tipo dello skilift bestemmia e ci dice di andare a fanculo e di muoverci e noi lì a non saper che fare ma dentro la rabbia sale e il freddo la spinge e allora pure noi a dirci dentro tutte le parolacce possibili e le bestemmie e poi a prendere la discesa e a faticare per arrivare in fondo e le gambe rigide e i piedi insensibili e poi risaliamo e di nuovo bestemmie del tipo che sembrava un loop e allora decidiamo di fermarci e di andare al bar.

Insomma, a quel bar poco dopo arrivano Stefano e Andrea2, e ci dicono di andare con loro in una pista vicina senza bambini ma facile e loro che sapevano sciare ci insegnano e allora ci alziamo e andiamo e c’era una nebbia fitta e non si vedeva dove finisse lo skilift e lo prendiamo lo stesso e non si arrivava mai e io ero stanco anche ad esser tirato e la pendenza era forte e insomma era uno scherzo ed eravamo su una pista rossa e ora bisognava andar giù e non si vedeva nulla e a me e ad Andrea quello alto ci venne l ‘ansia e scendemmo sempre più congelati e col panico forte e senza lucidità e io alla fine tolgo gli sci e scendo camminando lungo la pista con tutti che mi sciavano intorno e in mezzo alla nebbia si sentivano solo le nostre voci e le nostre male parole e le risate dei due stronzi di amici e alla fine di nuovo al bar ma stremati e senza voglia di parlare con nessuno e senza la forza nemmeno di guardarle le fiche sedute e sudati a meno sedici che ti si gela tutto addosso.

Insomma, si torna a casa sconfitti, si lasciano gli sci dall’affittasci che sembrava umbertobossi, si arriva che è ora di pranzo e non si ha la forza nemmeno di pensare a mangiare e si va a letto stremati che a ripensarci oggi mi viene l’ansia pure adesso dalla fatica cosmica.

E allora io decido definitivamente che lo sport fa malissimo, che la montagna la odio, che la neve è bella solo alla tele, che il freddo nel mio mondo ideale non esiste e che tutti vestiti come gli esploratori del polonord negli anni venti nemmeno la fica c’è. E se non c’è la fica non vale la pena nemmeno sciare e faticare e sudare col freddo e spaccarsi i polpacci e farsi venire i piedi da mummia e mangiare male.

E da quel lontano giorno io sono andato a sciare altre 34 volte, estate e inverno, però non ho mai più messo gli sci e non so fare nemmeno lo spazzaneve ma ho imparato a cucinare a fare la spesa a leggere al caldo ad andare in discoteca e a innamorarmi delle cassiere del supermercato pensando di conquistarle comprando cose inutili come la moglie di Fantozzi.

Morale della favola, perché una morale sempre deve esserci: andate in vacanza, fate sport, amate gli amici e le donne e gli uomini della vostra vita e segnatevi tutto in un diario, o in testa o su un ipad o sul pc perché poi dopo trent’anni vi possono chiedere di scriverne e allora vi ricorderete di quanto è bella la vita con gli amici e l’amore e gli scazzi e i dolori e i casini e i successi e le delusioni e tutto però sarà meraviglioso perché sono passati trent’anni e ce l’avete fatta, l’avete sfangata e siete qui a raccontarlo e riderci sopra e a dare spazio ai ricordi ‘che sempre di nuovi ne escono e Flavia è contenta ed è ora di pranzo. La mamma chiama e io vado.





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