ANNO 14 n° 118
Punk forever, Religione aperta, obiezione di coscienza
>>>>>>>>>>>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<<<<<<<<<<<
26/08/2013 - 04:00

di Massimiliano Capo

Nel millenovencentottantasette sono dovuto partire militare.

Nel millenovecentottantasette a me di fare il militare non andava però.

Perché io sono nonviolento con e senza trattino in mezzo.

E allora nel millenovecentottantasette ho deciso di fare l’obiettore di coscienza.

Nel millenovecentottantacinque andai a Perugia per la visita di tre giorni che decideva se eri abile o meno a vestire la divisa e il terzo giorno, quello dedicato al colloquio, seguendo il saggio suggerimento di qualche amico me ne sbattei della coerenza rivoluzionaria e dissi che volevo fare l’aviatore perché dire a uno stanco sottufficiale che avevo scelto di essere obiettore di coscienza mi avrebbe fatto restare a Perugia chissà per quanto tempo a dare spiegazioni a chi non voleva ascoltarle e a me di perder tempo in chiacchiere proprio non va.

Quindi nel millenovecentottantacinque sono stato per finta aviatore per tre giorni che quasi mi sentivo male a pensare di volare e di marciare e di fare la guardia in qualche posto sperduto della nostra amata patria con la divisa indosso e il coraggio guerriero nel cuore.

Ecco io il coraggio guerriero non ce l’ho, i posti sperduti mi mettono l’ansia e soprattutto pensavo che avevano ragione don Milani e Aldo Capitini.

Don Milani era uno strano tipo di prete che tutti conoscono perché ha scritto due libri bellissimi (ne ha scritti di più ma questi sono i più conosciuti): L’obbedienza non è più una virtù e Lettera a una professoressa. Don Milani ha anche creato a Barbiana, sopra Firenze, una scuola di poveri, piccola e a metà di una montagna che anche oggi si raggiunge con difficoltà, immaginate negli anni sessanta quando Don Milani ci andò per punizione perché era tutto meno che uno che non diceva quello che pensava.

Insomma io a Barbiana ci sono andato e la scuola, una stanza e poco più, l’ho vista in un giorno grigio e pieno di nebbia e di pioggia fine che ha smesso per far passare due raggi di sole quando sono arrivato lì in cima. Giusto il tempo di vedere e sentire, in mezzo a quel bosco fitto in fondo ad una strada senza uscita, tutta l’energia di una bella storia.

Insomma, lì, in cima a quel monte e di fianco alla scuola c’è anche il piccolissimo cimitero di quella piccolissima comunità e tra quelle tombe che raccontano storie antiche c’è anche quella di Don Milani, figlio della borghesia laica e benestante di Firenze, che muore malato e con la sua comunità resta anche dopo esser volato via e fa scrivere sulla lapide che lo ricorda I Care, mi preoccupo (degli altri), mi prendo cura, mi interesso.

Insomma Don Milani aveva le palle. E come diceva spesso le cose bisogna imparare a chiamarle per nome. E per davvero. E senza avere paura. Quindi, ripeto, Don Milani aveva le palle.

E L’obbedienza non è più una virtù è il libro che insegna a non avere paura di dire di no quando qualcosa va contro le nostre più intime convinzioni.

Aldo Capitini invece era uno strano tipo di filosofo, padre del vegetarianesimo italiano, organizzatore della marcia Perugia-Assisi, nonviolento integrale e così originale da non essere ricordato quasi più da nessuno perché in tempi di classificazioni militanti a lui non si sapeva dove metterlo e allora meglio dimenticarlo. A ricordarlo però ci sono i suoi libri pieni di cose bellissime e di una idea di religione aperta che in tempi di religioni sempre più chiuse magari farebbe bene frequentare e leggere.

E allora nel millenovecentottantasette decido di fare l’obiettore di coscienza e per farlo c’era una lunga procedura fatta di domanda commissione di valutazione e risposta, insomma la solita storia di burocrazia e fogli di carta e attese perché non era mica detto che la domanda fosse accettata.

Insomma, per non sbagliare io mi faccio aiutare a scrivere la richiesta, che era una lunga lettera in cui si dovevano spiegare le motivazioni della scelta fatta e la mia durava una decina di pagine, dicevo io mi faccio aiutare da Peppe Sini che al tempo come oggi è l’animatore del Centro di Ricerca per la pace di Viterbo (questo: CLICCA QUI) e che mi ha dato anche tante cose da leggere e che io ho letto e poi l’ho aiutato per un po’ nelle sue cose.

Alla fine la risposta arriva e mi hanno preso e mi hanno detto di andare all’Unione Italiana Ciechi. Ci sarei dovuto rimanere per due anni perché fare l’obiettore di coscienza nel millenoventottantasette durava il doppio del militare perché vuoi essere nonviolento e allora devi faticare di più ma poi la Corte Costituzionale ha deciso che non si poteva penalizzare più questa scelta e chi aveva superato a quella data un anno dall’inizio del servizio era libero e allora io ci sono rimasto quattordici mesi.

Insomma, arrivo all’Unione Italiana Ciechi e prendo servizio e il mio servizio era accompagnare il Presidente nelle sue attività istituzionali e fare attività di segreteria.

Oggi il Presidente di allora non c’è più da un po’ di tempo, volato via nel cielo dei giusti, e non so nemmeno se avesse letto don Milani e Capitini ma so per certo che chiamava le cose per nome e non aveva paura di dire quello che pensava.

E quei mesi, iniziati come spesso accade con uno scontro acceso figlio di due caratteri spigolosi, poi sono stati una delle esperienze più belle della mia vita.

Quelle cose che fai e che ti insegnano a non aver paura delle parole (dico cieco o non vedente? Posso dirgli hai visto la partita ieri sera o come altro devo dire? Posso chiedere hai visto che bel sole oggi o bisogna fare i vaghi sempre con tutto quello che per noi che ci vediamo ha a che fare con la vista? E ovviamente lui mi ha insegnato a dire cieco e a chiedere della partita e a parlare del sole e a rispondere senza star troppo a pensarci su a domande che di solito nessuno ti fa sui colori e su dove sono le cose e che forma hanno per poi ricostruirsele in testa e fare da soli); quelle cose che fai e che ti impongono di cambiare lo spazio in cui pensi le tue storie e devi ricostruirlo altrove, fosse pure a pochi centimetri di distanza mentale, ma comunque non più dove eri.

Quelle cose che fai e che ti aiutano a fare più attenzione e a capire l’importanza dei rumori, degli odori, dei gesti insoliti, come aprire leggermente il finestrino della macchina per sentire attraverso il rumore dell’aria che entra mentre si sta viaggiando a quale velocità si sta andando e scoprire che dopo anni di esperienza si può essere più precisi di una tachimetro, o del concerto di posate e bicchieri di una cena di ciechi dove ognuno ha inventato la propria tecnica per mangiare da solo e quindi è tutto un battere di forchette e mani che si agitano in una danza che vista ha il suono dolce della voglia di vivere bene e comunque.

Quelle cose che fai e che ti insegnano le difficoltà e il dolore di una condizione estrema come il non vedere soprattutto fra i ragazzi. E le storie di chi non ce la fa. Di chi non riesce ad essere autonomo. Di chi si sente comunque perso e questa sensazione se la porterà dietro per sempre.Quel senso di impotenza di fronte alle cose del mondo cosiddetto normale che solo l’amore e la condivisione e l’apertura e la carezza vitale di una mano amica e disponibile possono mitigare.

Quelle cose che fai e ti insegnano che si litiga e si discute e ci si batte e si perde e si vince e che gli uomini sono così e per fortuna anche quando sono ciechi hanno forza e vitalità e voglia di migliorarsi.

Quelle cose che fai e che ti fanno vedere di più e meglio in un mondo fatto di ombre e oscurità ma dove io mi sono sentito visto e riconosciuto molto più che altrove.

Oggi l’obiezione di coscienza stabilita per legge nel 1972 non c’è più come non c’è più la leva obbligatoria. C’è il servizio civile ma forse è un’altra cosa.

Per certo c’è che l’obbedienza non è mai una virtù e che una religione aperta, che a pensarci bene è un ossimoro, è una necessità per ricongiungersi con grazia al creato e a chi pensa che questa sia roba per anime belle consiglio di andarsene in vacanza vicino Livorno nell’albergo dell’Unione Italiana Ciechi a vedere, sì, proprio a vedere, come tutti lì dentro vedano tutto.





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