ANNO 14 n° 117
Punk forever, Le storie siamo noi
>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<
05/05/2014 - 02:00

di Massimiliano Capo

Ho una grande passione per le storie. Per chi le racconta. Per chi le raccoglie. E anche per chi ha voglia di ascoltarle, leggerle e finirci dentro.

E come tutti gli appassionati di storie, conosco la forza delle storie che raccontano le origini.

Le storie delle origini ci prendono così tanto, sono quelle più raccontate, anche per la voglia mai sopita di capire come una cosa sia potuta accadere, una sorta di reverse engineering delle emozioni in grado di consegnarci la sequenza magica che ha potuto rendere reale una storia meravigliosa.

Tipo voler ricostruire tutti i passaggi che hanno condotto Batman dalla culla a diventare il supereroe che conosciamo in modo da poterli rivivere e diventare a nostra volta supereroi.

Oppure quella grande storia d’amore di cui invidiamo tutto e che pensiamo di poter vivere ricreando le condizioni iniziali che l’hanno resa possibile.

E, invece, come ci ricorda Seth Godin, le storie delle origini hanno in comune solo di essere diverse le une dalle altre, irripetibili come i loro protagonisti.

E che ogni cosa che merita, ogni storia di successo, ha certamente un’origine ma non è l’origine a farne una storia di successo.

E allora, deterministi metafisici o appassionati del caso importa poco, non ci resta che vivere sognare immaginare desiderare sapendo che non esistono regole formule percorsi già segnati ad indicarci la strada per la nostra realizzazione, per le nostre felicità.

Esiste lo spazio che sappiamo conquistarci ogni giorno camminando per il mondo. Quello spazio fatto di sguardi incontri e sorrisi.

Fatto di desideri e passioni e di nuovo di incontri.

Fatto di apertura verso l’altro da noi. Fatto di curiosità ed empatia, di voglia di conoscere e di crescere. Di espandere la nostra coscienza e allargare gli orizzonti del nostro essere.

Vale per l’amore, per l’amicizia, per il lavoro che ci ritroviamo a fare.

Vale per tutto quello che contribuisce a fare di noi quello che siamo e quello che diventeremo in quel processo incessante di evoluzione che racconta meglio di ogni altra cosa la nostra vita.

Ci si sono attardati artisti di ogni tipo: scrittori, poeti, musicisti, cantanti, pittori, fotografi e filmaker. Bravi e meno bravi. Bravissimi e noiosissimi.

Ma tutti con lo stesso desiderio di raccontare la storia irripetibiledel nostro divenire.

E alla costruzione della nostra storia irripetibile ci dedichiamo ogni giorno anche noi.

In mezzo agli scazzi e alle delusioni. In mezzo alle gioie e al piacere irrefrenabile. In mezzo alle sfide che ogni giorno sottoponiamo a noi stessi e alla voglia di superarle e di superarci.

Per raggiungere quella felicità, provvisoria quanto si vuole, che rimane un diritto inalienabile del nostro stare al mondo.

Una felicità senza regole: senza regole per raggiungerla e soprattutto senza regole per viverla.

Piena, soddisfatta, intensa, gaudente, ricca e soprattutto immorale e molto sporcacciona.

Insomma, #iodipiu.

“A me sembra così facile, alla fine di qualunque questione si tratti –web, politica, culture, anche sport, tutto quanto- a me sembra che emergano sempre due modelli antropologici e vitali: uno che percepisce qualunque mutamento come una minaccia e uno come opportunità; uno che abbraccia il coraggio e la forza e uno che ne diffida; uno che mette in guardia contro i pericoli delle passioni e uno che non sa vivere senza; uno che ama nuotare nel qui&ora e uno che era meglio prima; e così via, all’infinito; e a me sembra che tutto questo non faccia in fondo che riflettere una primordiale divisione fra chi andava a cacciare le belve là fuori e chi tentava di nascondersi dalle belve, fra chi davanti a una frontiera ancora inesplorata sceglieva di slanciarsi e chi si fermava ad erigere steccati e filo spinato”.

E ancora: “chi demonizza il “dio denaro” continua –non diversamente da chi lo idolatra- ad assumerlo come unità di misura centrale. Il mercato e il profitto sono attività umane perfettamente naturali: quello che è rovinoso è averli messi sul trono. Il moralismo pauperista e penitenzialista è un rimedio perfino peggiore del male perché allontana dalla consapevolezza che la vita stessa – da quella biologica a quella evolutiva - è un processo espansivo. Noi dobbiamo imparare a gestire l’abbondanza e ad evolverla. Solo così possiamo trattare il profitto e il denaro per quel che dovrebbero essere, piacevoli effetti collaterali delle nostre spinte vitali”.

Ecco, Franco Bolelli come sempre lo ha detto meglio di me.

E io sono d’accordo con lui.

Buon lunedì.





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