ANNO 14 n° 117
Paolo Esposito: “Hanno condannato un innocente”
27/11/2013 - 02:01

VITERBO - “Come hanno potuto condannare un innocente come me?”. Incredulo e costernato, Paolo Esposito ha accolto la notizia che, sì, la Corte di Cassazione aveva confermato la condanna di secondo grado infliggendo lui la pena dell'ergastolo.

Quando gli avvocati Enrico Valentini e Mario Rosati, ieri pomeriggio di ritorno da Roma, sono andati a trovarlo nel penitenziario viterbese, dove è rinchiuso dal 1° luglio 2009, per comunicargli la decisione dei giudici supremi (“ritenevamo giusto fossimo noi stessi a dargli la notizia”), l'elettricista di Gradoli non poteva credere alle sue orecchie. “Io non ho fatto niente. Come hanno potuto condannarmi? Sono innocente”.

Eppure, tre diversi collegi giudicanti lo hanno ritenuto l'esecutore materiale degli omicidi della compagna Tatiana Ceoban e della figlia 13enne Elena, nata da un precedente matrimonio della moldava nel suo Paese d'origine. Cambiano le ricostruzione logico-temporali, e di molto anche, ma non il fatto che l'assassino sia proprio lui: il buon elettricista di Gradoli.

Per la Corte d'assise del giudice Maurizio Pacioni, Esposito si era prima sbarazzato della figliastra perché, poi, avrebbe dovuto uccidere la madre Tania. Un disegno criminoso partorito più dalla mente dell'amante-cognata Ala Ceoban che voleva ad ogni costo prendere il posto della sorella. Insieme, avrebbero vissuto nella villetta a Cannicelle con la piccola Erika, la bambina nata dalla relazione tra Paolo e Tania. C'è la premeditazione. Seppur senza aver mai trovato i cadaveri né l'arma del delitto, a supporto di questa ricostruzione c'e una gran mole di indizi, a partire dalle centinaia di messaggi telefonici che i due amanti si scambiavano, passando per le annotazioni sul diario di Tania - “ho paura che Paolo possa farmi del male” -, fino alla controversia per l'affidamento della bambina.

Il 21 giugno 2012, la sentenza d'Appello stravolge, almeno in parte, il quadro probatorio: Esposito è l'assassino di madre e figlia quindi, merita il carcere a vita; mentre la giovane Ala ha avuto un ruolo marginale, di supporto, avendo soltanto aiutato l'amante ad occultare i cadaveri di sorella e nipote. E le vengono comminati otto anni. Non c'è premeditazione e vengono a cadere anche gli indizi principali sui quali era stato montato il castello accusatorio già in fase di indagini preliminari.

“Manifesta contraddittorietà ed illogicità delle motivazioni”, avrebbe commentato il collegio difensivo. Che fa ricorso. Perdendolo, perché, alle 12,30 di ieri mattina, la Corte Suprema lo rigetta, confermando in todo la sentenza di secondo grado. Anche il ricorso del procuratore generale per Ala, infatti, è stato respinto. Meglio: dichiarato inammissibile. Il che significa che, a breve, la moldava si lascerà alle spalle la casa circondariale di Civitavecchia, lì dove è reclusa dal 5 agosto 2009. Le strade degli amanti diabolici di Gradoli, che in questi anni di detenzione carceraria sono rimasti in contatto tramite una fitta corrispondenza epistolare, si dividono per sempre. Il giallo di Gradoli, stavolta, è chiuso. (A dispetto dei tanti interrogativi rimasti senza risposta).

“La nostra è stata una battaglia dura, abbiamo fatto il possibile, tutto quanto era nelle nostre facoltà”, ha commentato l'avvocato Valentini. “Non nutrivamo grandi speranze, in realtà, certo è che siamo davanti a circostanze non logiche. Comunque bisogna attenersi ai fatti, e i fatti sono che tre Corti diverse ritengono Paolo Esposito responsabile, non possiamo far altro che rispettare la sentenza”. E, su eventuali sviluppi futuri, la difesa mostra prudenza, non si espone. (Ma la sensazione è che l'ultima pagina del giallo di Gradoli debba ancora essere scritta).





Facebook Twitter Rss