ANNO 15 n° 116
Street art nella Tuscia con la Latera Art Farm: presentate al pubblico le opere di tre muralisti
Gli obiettivi del sindaco Di Biagi: 'Invogliare a visitare Latera e valorizzarla con opere indelebili'
Elsa
10/10/2024 - 03:08
di Elsa Berardi

VITERBO - Alla rassegna The Art Farm di Latera, tra chi ha cominciato con gli stencil sui tessuti e chi si è ispirata alla Spagna di Gaudi, l’evoluzione della propria arte è stata per tutti i presenti il muro: un supporto vivace, immersivo, sul quale raffigurare sogni, leggende e il desiderio delle barriere abbattute. Con Mirko “Loste”, Andrea “Emeid” ed Elisa Capdevila, la street art ha preso a popolare anche il piccolo borgo del Lazio, secondo un’inaspettata direzione per la sua promozione culturale che la giunta Di Biagi ha intrapreso.

L’obiettivo del progetto, ascoltando il sindaco Francesco Di Biagi, è quello di “invogliare a visitare Latera, lasciando comunque delle opere indelebili nel tempo dentro il paese, per valorizzarlo”. Lo stesso primo cittadino definisce “museo a cielo aperto” la totalità delle nuove creazioni con cui Latera è stata arricchita: opere che fanno parlare i muri e l’arte figurativa contemporanea, ma anche il risultato della passione di un gruppo di scultori.

“È stato creato – ha aggiunto Di Biagi riguardo l’incipiente vocazione turistica di Latera – un albergo diffuso, le prime case sono operative da quest’anno e le altre sono in fase di ristrutturazione. Entro la fine dell’anno entreranno in funzione in virtù di questo sviluppo, che si presume possa esserci grazie a queste opere”.

Molte opere sono state già viste in fase di realizzazione, ma sono state presentate alla popolazione nel pomeriggio di giovedì 26 settembre, in un bellissimo passaggio inaugurale che è stato la cornice di un contatto ravvicinato: quello tra il cittadino e i frutti del lavoro dell’amministrazione, mediato dall’arte come azzeratore di distanze. Il sindaco si dice orgoglioso per lo sviluppo dell’iniziativa e forte del dialogo con la disponibilità degli artisti.

I tre muralisti ospitati alla rassegna a Latera vengono da biografie e percorsi diversi, ma tutti confluenti in una sola missione: quella di ravvivare le leggende, i luoghi e gli usi di un borgo da far conoscere, emersa dopo aver soggiornato nel paese e ascoltato aneddoti relativi a eventi topici della sua storia. Ne ha parlato al Viterbo News la Squareworld Studio, impresa culturale creativa di Bergamo: selezionata per la partecipazione all’ambizioso progetto laterese, ha ricevuto prima l’invito dalla Saint Francis’Ways, ente di promozione degli itinerari storico-artistici situati lungo il cammino della via Francigena. In un secondo momento, focalizzata la richiesta – quella della creazione di una sorta di museo diffuso, con potenzialità attrattive insolite e forti al contempo – gli artisti si sono stabilizzati per un periodo a Latera, alimentando la loro immaginazione.

Loste, di Caltanissetta, ha una profonda vocazione esplorativa e il suo pseudonimo risiede in una simpatica casualità: l’incastro, soddisfacente alla vista, delle lettere che lo compongono. I suoi maestri vengono più dalla scuola figurativa spagnola e tedesca: l’Europa da visitare e il mondo tutto da scoprire erano il sogno del Mirko adolescente, alla base della professione che l’artista adulto si è costruito. “I primi veri iperrealisti della street art erano europei. Nei viaggi che facevo da più piccolo – ha rivelato Loste – ho avuto la fortuna di incontrare un grandissimo artista spagnolo, Belin, che mi ha fatto da mentore: uno dei primi ad andare oltre il graffito, utilizzando anche la pittura in grande con gli spray su parete”.

Loste, iperrealista ormai compiuto, ma - come lui ama dire - non arrivato al traguardo definitivo, ha stretto amicizia con questa personalità influente, ricordando i momenti spensierati e al contempo carichi di emozioni in cui ha aperto le porte alle trasferte intorno ai 17 anni. “Io penso che senza studio i risultati non ci siano: per me l’arte è stata come una palestra, i risultati arrivano – ha specificato con umiltà – dopo tanto esercizio. Non è qualcosa che si evolve dall’oggi al domani, ma serve costanza”. All’Art Farm ha portato un’opera dedicata a uno sciopero al femminile: alcuni camion trasportatori di beni commerciali avrebbero rischiato di danneggiare l’aspetto del borgo, ma la perseveranza delle manifestanti ha reso l’evento uno dei più ricordati nell’aneddotica laterese.

Emeid viene da un percorso quasi intuitivo, che l’ha portato dagli stencil applicati sulle magliette alla fine degli anni ’90 alla break dance dei primi anni 2000, fino all’arte su muro. A cosa si deve la sua fascinazione per il disegno? “Quando andavo a scuola, in Germania (l’artista è vissuto in questa nazione fino ai 10 anni, ndr), passavo sempre davanti a un muro che era disegnato: mi ricordo anche la sua trama in pietra. Probabilmente mi ha lasciato qualcosa, non ne sono sicuro, ma potrebbe essere”.

La sua tendenza alla sperimentazione, al disegno libero e non schematico si riflette anche nella spontaneità del nome che lo identifica nel mondo dei muralisti: “Ho iniziato con i murales nel 2009, 15 anni fa circa. Vengo da un periodo in cui lavoravo nella mia stanza, fissando con il ferro da stiro gli stencil che dipingevo: da lì ho iniziato a domandarmi che nome d’arte avrei potuto dare a quello che facevo. Mi venne in mente di firmare “handmade”, fatto a mano. Con il passare degli anni ho intensificato il lavoro, applicandolo a tutte le tipologie di abbigliamento, finché non ho avuto l’idea di registrarmi alla Camera di Commercio con il mio logo”.

Il logo presentato da Emeid non prevedeva nessun nome, ma il proposito che aveva maturato qualche tempo prima ha avuto un bizzarro esito: quello di far scrivere sì “handmade”, ma esattamente come si legge e pronuncia! “L’addetta all’ufficio mi fece un sorriso – ha confidato il muralista - e io le chiesi il motivo. Mi invitò a guardare il suo computer: ho letto una lista di persone che si erano iscritte con lo stesso nome! Le ho detto, a quel punto, di scrivere il nome che avevo pensato, ma come si pronuncia”. Andrea Emeid non si è arreso a questo scoglio e continua a fare della realtà una bellissima, coraggiosa caricatura.

Diverso è il discorso per le ispirazioni di Elisa Capdevila, “barceloneta” con una scuola classica alle spalle: certamente Gaudi e altri artisti, ma anche il concetto originario di public art, ossia il rendere manifesto quello che è già importante, ma così radicato nella società da non sembrare visibile. “Lo stile è impressionistico, come anche quello di Velasquez”, ha dichiarato la Capdevila, sottolineando le reciproche influenze tra Spagna e Italia.

“Penso che, generalmente, nell’arte pubblica, le persone dipingano per confrontare le loro idee – ha continuato la Capdevila – ma, soprattutto nella mia arte, parlo di temi scottanti, molto importanti. La storia di Latera è però molto legata al suo contesto specifico, quindi possiamo dire che la pittura è anche parte della nostra identità”.

La costruzione di quel che siamo e il racconto di cosa congiunge le nostre individualità: questa è l’arte pubblica in tutte le sue sfaccettature. “È inoltre molto comune che in un piccolo centro le persone non abbiano in genere l’opportunità di andare a visitare mostre o musei”, ha concluso la muralista spagnola, che ha deciso di fare un generoso regalo, nel suo stile e con le sue maniere, alla popolazione del paese della Tuscia.

La rassegna è stata molto partecipata: tra musica di sottofondo e pienone nel cuore di Latera, l’invito che ha seminato è stato quello della costanza, da usare soprattutto per combattere gli stereotipi e divertirsi a immaginare un nuovo domani da costruire insieme.






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