Con l’approvazione dell’emendamento alla legge delega fiscale presentato dalla relatrice Mariangela Matera, il riordino del gioco fisico in Italia viene ufficialmente rinviato all’agosto del 2026. Un biennio in più rispetto alla tabella di marcia originaria per l’adozione dei decreti attuativi, che costituiranno l’ossatura normativa di un settore tanto discusso quanto strategico per il Paese. Questo slittamento non è solo una questione burocratica: è un passaggio chiave, che potrà determinare il futuro di migliaia di imprese, lavoratori e cittadini.
Ma cosa significa davvero questo rinvio? È un’occasione per pensare meglio, agire con più consapevolezza e costruire una riforma solida, oppure rischia di trasformarsi nell’ennesimo stallo che prolunga l’incertezza normativa e alimenta il caos regolamentare? I punti sul tavolo sono tanti e complessi: dalla distribuzione territoriale delle sale da gioco alla regolamentazione dei punti vendita, dalla questione concessioni alla necessità di distinguere tra gioco lecito e gioco patologico. Serve una visione chiara, e serve adesso.
Il settore del gioco pubblico non può essere trattato alla stregua di un comparto marginale. Parliamo di una filiera che versa miliardi nelle casse dello Stato, che finanzia anche settori strategici come lo sport, la cultura e la politica attraverso sponsorizzazioni e contributi diretti. Eppure, troppo spesso, il dibattito pubblico si polarizza: da un lato chi lo demonizza in toto, dall’altro chi ne difende gli interessi economici senza preoccuparsi delle conseguenze sociali.
È necessario uscire da questa dicotomia sterile e riconoscere che il gioco legale rappresenta uno scudo contro l’illegalità. Dove lo Stato è presente con regole chiare e controlli rigorosi, la criminalità organizzata fa fatica ad attecchire. Ma la legalità, da sola, non basta. Serve una riforma che metta al centro la tutela dei più fragili, in primis i giovani e i soggetti vulnerabili, sempre più esposti al rischio di ludopatia. Serve una comunicazione trasparente, strumenti di prevenzione efficaci e un sistema che premi i comportamenti virtuosi degli operatori.
Il riordino può (e deve) diventare l’occasione per ridefinire il rapporto tra lo Stato, il cittadino e il gioco, riconoscendo che si può coniugare intrattenimento, sostenibilità economica e responsabilità sociale. Ma per farlo servono regole moderne, coerenti e soprattutto applicabili. E questo tempo supplementare concesso fino al 2026 va utilizzato con intelligenza e coraggio.
Guardare al 2026 come a una data lontana sarebbe un grave errore. È domani, in termini politici e normativi. Le istituzioni hanno ora la responsabilità di aprire un confronto reale con tutti gli attori del settore, dai concessionari agli enti locali, passando per le associazioni che si occupano di prevenzione e cura della dipendenza da gioco. Nessuno deve restare fuori da questo tavolo.
L’emendamento Matera non è solo una proroga: è una chiamata alla responsabilità collettiva. Significa dare fiato a un sistema stremato da anni di incertezza, pandemia e interventi disomogenei tra le varie regioni. Ma significa anche alzare l’asticella delle aspettative, perché il tempo in più non può tradursi in immobilismo.
Il riordino del gioco fisico può diventare un laboratorio di buona legislazione, un esempio di come lo Stato possa regolare, non proibire; ascoltare, non imporre; costruire, non distruggere. Ed è questo lo spirito che dovrà animare il percorso da qui al 2026. Un anno che, se vissuto con lungimiranza, può segnare una svolta storica per uno dei settori più controversi, ma anche più significativi per l’economia e la società italiana.Il gioco può essere una forma di svago, una risorsa economica, un’opportunità occupazionale. Ma solo se inserito in un sistema giusto, regolato e responsabile. Il tempo per decidere è adesso, anche se i decreti arriveranno solo domani.