ANNO 14 n° 118
Pm pestato dal boss, indagati tre agenti
Domenico Gallico aveva picchiato magistrato della Dda di Reggio Calabria
15/04/2013 - 14:54

VITERBO - Falso e omessa consegna. Sono questi i reati contestati ai tre agenti della polizia penitenziaria di Viterbo – M.F., L.D.F. e F.C. - che lasciarono il pm Giovanni Musarò nelle mani di Domenico Gallico, il superboss della 'ndrina omonima che, per riciclare, si serviva del Caffè Chigi (confiscato nel 2012) nei pressi di Montecitorio.

Stando a quanto ricostruito dagli organi inquirenti, Gallico avrebbe approfittato “con premeditazione” del faccia a faccia con il magistrato della Dda di Reggio Calabria per colpirlo e fratturargli il naso.

Nella fedina penale del superboss, oltre ai reati compatibili al ruolo (estorsione, sequestro di persona, omicidio), c'è, tra l’altro, anche un precedente oltraggio a un giudice. Il presidente di un collegio al quale Gallico sganciò un pugno anni prima.

Il boss è imprevedibile, qualche volta cupamente teatrale (durante un'udienza processuale era tornato a minacciare di morte il pm) ma soprattutto ha qualche rancore nei confronti del magistrato che da anni persegue la sua famiglia, tra le più spietate nella fascia tirrenica della piana di Gioia Tauro, come aveva spiegato lo stesso Musarò agli investigatori di Viterbo: “I Gallico sono stati protagonisti di una faida che è durata dieci anni, costellata da - credo - più di cinquanta morti e non ricordo più quanti feriti”.

Quando il pm parte per Viterbo (era il 7 novembre 2012) il Tribunale di Reggio aveva appena sequestrato l'abitazione storica dei Gallico “una villa – aveva affermato Musarò - molto famosa che, a Palmi è un simbolo della 'Ndrangheta, sostanzialmente». Tempo prima, un cugino di Gallico, a cui Musarò aveva notificato una serie di contestazioni, aveva tentato di recidersi la carotide nel carcere di Brescia.

Nella guerra dello Stato contro i Gallico, i magistrati devono fronteggiare grumi di risentimento personale. In questa cornice viene fissato l'incontro a Viterbo. Reggio Calabria, si sa è lontana, anche se a Roma se ne sente parlare sempre di più. Il 29 ottobre Musarò aveva inviato una lettera “al direttore della casa circondariale di Viterbo” nella quale chiede, come è consueto: “Si prega di mettere a disposizione due agenti di polizia penitenziaria, che assisteranno il magistrato nell'espletamento dell'atto istruttorio”. Comunica anche preventivamente alcuni fatti avvenuti in precedenza, minacce, aggressioni nei suoi stessi confronti da parte del solito Gallico.

Quel giorno il superboss era entrato nella stanza dell'interrogatorio con il sorriso e, al pm che gli era andato incontro, aveva detto: «Finalmente ho il piacere di conoscerla...». Poi, gli aveva sferrato un pugno sul viso e insisteva mentre l'altro si protegge con l'avambraccio e grida. Solo a quel punto, la stanza si era riempita e gli agenti erano accorsi per separarli. Ma perché lasciar entrare Gallico senza di loro? Il boss può negoziare un momento per sé anche dal regime di 41 bis?

L'inchiesta ha ricostruito che per sfuggire alle contestazioni i tre avrebbero messo mano al verbale del carcere, falsificandolo. Ora tocca a loro fornire la propria versione dei fatti.





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