ANNO 15 n° 121
Perfezione, voce del verbo Sinner: il tennista colpisce ancora con lo spot di De Cecco
Rubrica 'Pubblicittà' a cura di Elsa Berardi
Elsa
22/01/2025 - 17:21
di Elsa Berardi

Fonte Immagine: Brand News

VITERBO - Maniacale in ogni colpo, eppure schivo, ingombrante e testardo. Sicuro e raggiante quando parla, senza mai incespicare sui congiuntivi o lasciarsi andare a una barzelletta: Jannik è pure lui un autentico giovanotto, ma quando se la spassa tra fatiche e sacrifici, sbaraglia gli avversari in un colpo di racchetta, li restituisce al tifo dei compatrioti. E forse, in quest’eco tanto amena del suo essere tennista, risuona la bellezza dei nostri sogni italiani.

Siamo gli ambasciatori del lasciafà nel mondo, le “nuove stelle di Broadway” (grazie, Cremonini) che si sfamano con un abbraccio e i ragazzi che lottano in piazza per uno stile di vita migliore, sempre con i pranzi domenicali nell’anima. Eppure, ci piacciamo eccellenti e impeccabili, privi in apparenza di ogni patina ecumenica. Saremo davvero così inflessibili, noi che il cornicione o lo lasciamo o lo adoriamo?

No, per noi il cibo non è una boutade, anzi, è uno spreco non considerarlo. E un’azienda coriacea come il pastificio De Cecco, traino economico del settore insieme ad altri, non poteva che coniugare perfezione e lavorazione, aggiudicandosi uno storytelling teneramente trionfale. Con Jannik Sinner associato a una spaghettata. Ma non è la spaghettata di tutti, è quella dei grandi. Delle stelle che a Broadway ci sono emigrate, tornando a fare visita ai parenti per Natale.

Chissà se, nella peripezia di aggrapparsi a una nuova patria, non si siano dimenticate il profumo del basilico, quello selvatico e gracidante dell’orto dei nonni. Le strade estive riverberanti, maniacali nel loro disordine come i colpi di Sinner. Gli spot pubblicitari ormai standardizzati, ma in cui c’è almeno un po’ d’amore a fare festa.

E lo spot in cui De Cecco e Sinner fanno coworking, l’ultimo per lancio, non ha la sottigliezza delle cose recenti, ma appare aulico nell’accostare le immagini: una palla da tennis all’inizio, filmati del campione che fa il suo lavoro, una successione di frame con frasi che richiamano l’impegno. Tutto in bianco e nero, a colori c’è solo la pasta, nella passerella che ogni italiano le riserva.

E c’è un infinito racconto dell’eccellenza, però univoco: quella che per forza regala successo ad ogni contributo. La fine di questo proemio? Un filmato di Sinner in primo piano, con la sua stessa voice off che allude alla bontà della pasta, non così casuale da essere arte o intuizione. Fare bene è un mestiere, più di quanto lo sia mettersi in discussione senza risultati. Il tennista chiarisce poi che la descrizione del duro lavoro non è solo autobiografica: è un umile omaggio alla pasta che lo carica. Tanta ricerca per un lungo minuto di spot, cronometrato con zelo dai palinsesti.

Su questi temi potremmo aprire una caterva di salotti, ma Pubblicittà preferisce i quesiti utili, un po' insolenti. Precisione è perfezione scolastica o rigore maturo? È così necessario e saggio non voler sbagliare? E, dall’altro lato, le eccellenze e le dotazioni più ricche vanno emarginate, perché tanto non si capiscono?

La chiave per rispondere potrebbe essere nell’ultimo spunto: se tanto non lo capiamo, non possiamo valorizzarlo, ma non è che non lo capiamo perché non ci arriviamo… Non lo capiamo perché intralcia, perciò lo viviamo male. Ma nessuno stimolo, men che mai nessuna persona, è demandata a sconvolgere equilibri: se animata da cose buone, è proprio la sua presenza (accomodante o di sano scompiglio) a renderci una gamma preziosamente variegata, anche se ogni tanto si può sbagliare, minimizzare, non comprendere.

Infine, sconvolgente verità, non esistono giocatori di tennis senza paure, impedimenti, sogni proibiti; la pasta De Cecco la cottura la tiene, ma bisogna saperla abbinare col sugo, se no niente e nessuno è davvero perfetto. E sterilizzare il campo da ogni conflitto ci renderebbe liberi?

Probabilmente, saremmo ancora più bisognosi di un accompagno, come ha detto, in un altro contesto, il Francesco più noto del mondo. Pure lui è un fan sfegatato dell’imperfezione. Siamo come gli spaghetti, in fondo: la cottura ci tiene uniti, dopo duecento prove di convivenza, ed è al contempo ogni singola oliva, ogni cucchiaio di pomodoro ad essere irripetibile senza essere solo.






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