ANNO 15 n° 208
Omicidio Bramucci, sei condanne: “Un delitto covato nel tempo, il movente era il denaro”
Secondo i giudici fu Elisabetta Bacchio a spingere per la morte del marito. Un piano dettagliato
26/07/2025 - 15:26

SORIANO NEL CIMINO - Un omicidio pianificato nei minimi dettagli, nato da rancori personali e motivazioni economiche. È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza depositate dalla Corte d’Assise di Viterbo, che ha condannato sei persone per la morte di Salvatore Bramucci, 58 anni, ucciso a colpi di pistola il 7 agosto 2022 nelle campagne di Soriano nel Cimino.

Secondo i giudici, a volerlo morto fu Elisabetta Bacchio, moglie della vittima, che avrebbe coltivato per anni un profondo risentimento nei confronti del marito, alimentato da tensioni familiari, una lunga storia criminale e dalla prospettiva che lui potesse ricominciare una nuova vita – ricca e serena – senza di lei.

“Ha covato il rancore sotto la cenere – si legge nelle motivazioni – poi ha preso coraggio, coinvolgendo anche la sorella Sabrina in un piano omicida”.

 

Le condanne

Il processo si è concluso il 20 gennaio con sei condanne comprese tra i 18 e i 28 anni di reclusione. Niente ergastoli, nonostante le quattro richieste avanzate dal PM Massimiliano Siddi.

Le pene più severe sono state inflitte ai due esecutori materiali:

Tonino Bacci: 28 anni

Lucio La Pietra: 27 anni

A seguire:

Elisabetta Bacchio (moglie della vittima) e Sabrina Bacchio (sorella): 24 anni ciascuna

Costantin Dan Pomirleanu, compagno di Sabrina: 20 anni

Alessio Pizzuti, coinvolto nella fase organizzativa: 18 anni

La Corte ha definito il procedimento “un classico esempio di processo indiziario”: non ci sono prove dirette né l’arma del delitto è mai stata ritrovata. Tuttavia, la ricostruzione dei fatti è stata ritenuta solida, grazie a numerosi elementi coerenti e convergenti.

Chi ha sparato materialmente non è certo – resta il dubbio se sia stato Bacci o La Pietra – ma per i giudici non è rilevante ai fini della responsabilità. “Erano entrambi presenti – scrivono – e il quadro indiziario è tale da fugare ogni ragionevole dubbio”.

Il movente, secondo la sentenza, è duplice. Da un lato, personale: Elisabetta Bacchio non avrebbe tollerato che Bramucci, dopo anni di carcere, potesse rifarsi una vita senza di lei e con la figlia avuta da un precedente matrimonio.

Dall’altro, economico: il timore che le ricchezze accumulate dal marito – anche tramite attività criminali – finissero altrove.

“Il denaro – sottolinea la Corte – è stato il filo conduttore dell’intera vicenda, e tutti gli imputati si sono dimostrati particolarmente attenti al guadagno.”

Elisabetta e Sabrina Bacchio, secondo i giudici, hanno ideato, pianificato e coordinato l’omicidio. Elisabetta ha manifestato alla sorella la volontà di “porre fine” a un rapporto coniugale ormai insostenibile. Sabrina, a sua volta, ha coordinato operativamente il piano, mantenendo i contatti con i sicari e accompagnandoli nei sopralluoghi.

Le due sorelle, legate da una “condivisione quasi simbiotica”, hanno agito in costante contatto, alimentandosi a vicenda nel proposito criminale.

A sparare sarebbero stati Bacci e La Pietra, che si sono presentati davanti all’auto della vittima e hanno esploso sei colpi di pistola.

Bacci, in particolare, è ritenuto il “regista” del commando: ha selezionato i componenti, diretto la fase esecutiva, sostituito all’ultimo un collaboratore e si è adoperato per riscuotere il pagamento. Un ruolo centrale, paragonato dalla Corte a quello di un protagonista teatrale.

Pur non essendo presente al momento del delitto, Alessio Pizzuti ha partecipato alle fasi preparatorie. Per la Corte, non era un osservatore passivo: ha fornito supporto logistico, preso parte ai piani e avrebbe dovuto guidare una delle due auto della spedizione. Il suo ritiro dell’ultima ora non cancella la responsabilità penale, data la sua partecipazione attiva alla fase organizzativa.

Resta ancora in corso il procedimento per Ismail Memeti, 56enne macedone, accusato di aver partecipato all’omicidio come sostituto di Pizzuti. Il suo processo è attualmente in corso, sempre davanti alla Corte d’Assise di Viterbo.

Una sentenza che fotografa un delitto maturato nel silenzio, cresciuto nel rancore e portato avanti con freddezza e metodo. A fare da collante tra tutte le figure coinvolte: il denaro, il desiderio di controllo e l’incapacità di lasciar andare un passato pieno di ombre.






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