ANNO 15 n° 299
Montalto di Castro, il sogno del porto tra numeri e realtą
Dopo la presentazione del Piano Porti, emergono dubbi sulla sostenibilitą economica del progetto: costi troppo alti e modello fuori scala per il territorio
26/10/2025 - 13:38

 

MONTALTO DI CASTRO - Dopo la presentazione ufficiale del Piano Porti al Lea Padovani, è ora possibile leggere con più lucidità la reale portata dell'operazione. Al di là delle intenzioni, ciò che determina la fattibilità di un porto non è la narrazione ma il conto economico, e proprio dai numeri mostrati dai progettisti emergono le maggiori criticità.

La stima di spesa oscilla tra i 60 e gli 80 milioni di euro per circa 500 posti barca. Significa che la sola realizzazione incide per circa 160 mila euro a ormeggio, prima ancora di inserire l'utile d'impresa. In qualsiasi operazione privata — e questo porto nascerebbe necessariamente in project financing — il soggetto investitore deve rientrare del capitale e generare profitto. Considerando utile industriale, rischio operativo, manutenzione straordinaria e tempi autorizzativi, il valore 'di mercato' del singolo posto barca si avvicinerebbe realisticamente ai 200 mila euro.

È su questa soglia che il modello comincia a incrinarsi: un prezzo da marina internazionale di lusso. È qui che il progetto 'scivola' fuori dal profilo socio-economico di Montalto. Non parliamo di Porto Cervo o della Costa Azzurra. E, soprattutto, non parliamo di Dubai, dove il costo dell'ormeggio è parte di un ecosistema immobiliare e turistico di fascia altissima. La presentazione ha mostrato un porto che, con questi numeri, sarebbe sostenibile solo per un'élite internazionale. Non per i diportisti del territorio, né per il naviglio medio che frequenta il litorale laziale.

Ecco perché, al netto del valore dell'individuazione dell'area — che rappresenta davvero un punto di partenza importante — il progetto, così come è stato raccontato, non è ancora credibile dal punto di vista economico e della fattibilità. Semplicemente non regge il rapporto tra investimento e domanda potenziale. Da qui la domanda: chi metterebbe 80 milioni per un porto in cui gli ormeggi non trovano compratori?

Per evitare che questa opportunità si trasformi nell'ennesima promessa irrealizzabile, occorrerebbe ribaltare la prospettiva: partire dal profilo reale di Montalto, non da un'immagine aspirata. Ed è proprio su questo terreno che si fa strada la proposta più coerente: un consorzio dei diportisti locali, o comunque una governance radicata nel territorio, capace di dare vita a un primo approdo di dimensioni più contenute e sostenibili, per poi crescere nel tempo in modo modulare.

Un porto 'nostro', nato dal basso, non una struttura extralusso calata dall'alto. Un'infrastruttura costruita in base ai flussi reali, non sui rendering. In altre parole: se oggi Montalto non è Dubai, il modo migliore per non restare al palo è riconoscere che non serve diventarlo. Serve, piuttosto, un porto che funzioni davvero. E che resti patrimonio del territorio.






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