ANNO 15 n° 123
Intervista Andrea Ranocchia: com’è cambiato il ruolo di tecnico oggi
Andrea Ranocchia è un uomo di calcio e, come tale, non nasconde il suo cuore nerazzurro e ha voglia di parlare della sua Inter e del suo modo di vedere il calcio
17/05/2024 - 17:23

Andrea Ranocchia, ex difensore nerazzurro parla, a ruota libera, del suo splendido rapporto con l’Inter, di Simone Inzaghi, della dirigenza, di come sia cambiato il ruolo di tecnico in questi anni, di razzismo e di pressione forte sui giovani giocatori. Vediamo cosa racconta.

Andrea Ranocchia, nella sua intervista su sitiscommesse.com, ci tiene, come prima cosa, a fare i complimenti all’Inter per il ventesimo scudetto, uno scudetto immaginato (vista la qualità enorme della rosa) e diventato realtà in una stracittadina. Ranocchia, proprio su questo, ha le idee molto chiare: “diciamo che l’importante era vincere, però vincere nel derby è ancora più speciale.” I suoi ricordi nel derby sono altrettanto speciali ma, tra tutti, vuole ricordarne uno perso, nel 2011, dopo una cavalcata in rimonta dei nerazzurri che, arrivati a due punti dalla capolista Milan, persero l’opportunità del secondo scudetto consecutivo. Anche in questo caso, però, Andrea è piuttosto tranquillo: “purtroppo è finita male, ma nel calcio funziona così, non può andar sempre tutto bene.”

Lato Champions League, nell’anno del trionfo scudetto, le cose sono andate male. Ranocchia dice che, in quella competizione, valgono gli episodi e i nerazzurri non hanno perso ai rigori contro l’Atletico Madrid: “all’andata l’Inter ha fatto una grande partita, ha creato tantissimo ma gli è mancato l’ultimo passo perché se fossero riusciti ad arrivare a Madrid con un punteggio diverso sicuramente sarebbero passati.”. Sarà per il prossimo anno, con maggiore attenzione alle occasioni sprecate.

Dirigenza, carriera all’Inter, ruolo dell’allenatore, Inzaghi

“Un lavoro incredibile, posso dire che sono dei top player in quell’ambito perché con poco budget, trovare sempre ogni anno, dei giocatori di altissimo livello anche a parametro zero, come è successo negli ultimi anni, è difficilissimo.” Ecco, in sintesi, cosa pensa Ranocchia della dirigenza interista e inserisce, volentieri, nel discorso il presidente Steven Zhang, che è stato anche il suo presidente e che ha preso una squadra in difficoltà rendendola una delle migliori nel mondo.

Quando lui ha iniziato, nel 2011, sei mesi dopo la sola stagione in cui è arrivato il Triplete, era un’altra Inter, un’Inter di grandi campioni con nomi impressionanti come Zanetti, Cambiasso, Chivu, Samuel, Materazzi. Atleti che non hanno mai cercato di metterlo in difficoltà e che, fin da subito, lo hanno trattato molto bene. Era d’altronde un calcio diverso, un calcio in cui “quando sei dentro sembrano tutte cose un po’ normali, però se lo vedi da fuori dici “ma sto giocando con Zanetti? Non è vero!”.”

Il calcio è cambiato, senza ombra di dubbio, e anche il ruolo dell’allenatore ha sempre più incidenza in quello che è la squadra globalmente grazie a strumenti tecnologici in grado di prevedere e modificare tutto, anche le prestazioni dei giocatori. Gente come Guardiola, Klopp, Xabi Alonso, hanno grandi personalità e rappresentano quello che, per Ranocchia, è un allenatore moderno: “deve essere psicologo, deve essere tecnico, deve essere tattico, deve gestire 25 personalità più tutti quelli che ruotano intorno. E un allenatore di alto livello deve essere bravo in tutte queste cose.”

Anche Simone Inzaghi, ovviamente, è un allenatore moderno e intelligente e Ranocchia pensa che il suo surplus sia l’empatia: “ha capito l’importanza di avere questi giocatori, è molto bravo a gestirli, nel senso che è un allenatore con cui si riesce ad entrare in confidenza, è empatico verso il giocatore. Quindi magari il giorno in cui il giocatore non sta bene o ha un problemino, lui capisce come può gestirlo, non con le bastonate ma mettendosi nei panni del giocatore, aiutandolo in quel momento lì.”

Hull City, Monza, razzismo e pressione sui giocatori

Nel gennaio 2017, Ranocchia è stato mandato in prestito all’Hull CIty, squadra inglese che, poi, è stata retrocessa, proprio in quell’anno, in Championship. Andrea ricorda, con grande piacere, quel momento della sua carriera non tanto per il risultato ma per il comportamento sportivo dei tifosi: “penso che in Italia, non succede quasi mai che il giorno della retrocessione, dopo un quarto d’ora, ti chiamano fuori i tifosi per fare il giro del campo. Ecco, questo riassume un po’ quello che è il sentimento del calcio inglese.”

Ha meno parole belle, Ranocchia, per il Monza, squadra in cui ha giocato subito prima di ritirarsi a causa di un brutto infortunio. Andrea non ha trovato una grande sintonia con i suoi compagni di squadra ma ha belle parole per Adriano Galliani: “Nel calcio, io non so se ho conosciuto due persone come Galliani e Berlusconi. Non credo. Il livello è veramente alto, anche a livello umano.”

Sul razzismo, invece, Andrea ci va giù duro: “il problema è culturale, il problema è che l’ignoranza in giro è tantissima.”. Il difensore, infatti, sostiene che una volta i buu razzisti in curva fossero molti di più e, quindi, un po’ di miglioramento c’è stato ma non quanto ci si sarebbe aspettati. I giovani sono meno controllabili, queste nuove generazioni hanno un buco di valori molto legato all’uso smodato dei social, quegli stessi social che sono in grado di seppellire o di esaltare un giocatore nell’arco di un paio di partite.

La pressione forte sui giovani giocatori è, per Ranocchia, un altro grande problema: “Il calciatore, ad oggi, ha pressioni dieci volte tanto di quelle che potevano essere 7-8 anni fa perché adesso con questi social il calciatore è raggiungibile subito, cioè in un secondo tu puoi raggiungere un calciatore nel mondo con un click, con un messaggio.”. Questo è un bel danno che può cambiare, in peggio, l’atteggiamento di un giocatore in campo. Capita, infatti, sempre più spesso che i giocatori siano nervosi, che siano più aggressivi, dentro e fuori dal perimetro di gioco. I giovani, anche per questo non hanno successo nel nostro campionato tenendo sempre in mente il livello bassissimo delle strutture del settore giovanile in tutta Italia.

Per questa ragione, Ranocchia si augura che il figlio giochi a calcio per divertimento e che non si senta in obbligo di fare risultato. Nessuno ha voglia di diventare un padre che spinge per far sì che il figlio faccia carriera: “mi sto scontrando con una realtà genitoriale dei settori giovanili che fa paura perché c’è tanta pressione. E tante famiglie mettono pressione al proprio figlio perché chissà cosa deve diventare.”. Questo è assolutamente sbagliato ed è lo stesso motivo per cui Andrea stesso non ha voglia di riprendere con il calcio, foss’anche come allenatore. Adesso sta bene così, come commentatore e podcaster, non è ancora il momento di pensare al pallone come mestiere.






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