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VITERBO - Cara Rocchetta… Ce la siamo giocata sul nonsense o sulle atmosfere fiabesche, aggettivo copiato e incollato dai commenti YouTube sullo spot più recente? Beh, una gara di svuotamento di bottiglie presieduta da un divertente clown può liberare molteplici pensieri, da quello sul target del filmato, un pubblico presumibilmente “doppia A” (adulto e annoiato)… A quello di matrice più filosofica sulla perdita della fantasia, della sana insensatezza, della purezza giovanile, tant’è che il corollario del video è – letteralmente – gente che fluttua in aria.
Ce n’era tanto bisogno per la nuova acqua Brio Rossa Più Frizzante? Noi ci ostiniamo a dire di no, accasciandoci su un immaginario in cui il frame televisivo era sartoriale, concepito a tavolino e foriero di emozioni indelebili. E invece eccoti qui il progresso che avanza, nient’altro che un prato pieno di persone di ogni età che si danno alla pazza gioia. O al riempimento della noia un po’ sgangherato, che dir si voglia.
Il filmato inizia con un giovane vestito all’antica, forse una nostalgica anima di campagna, una ragazza dai capelli rossi simile più a una popstar che a una sua coetanea 'in borghese” e un uomo anziano e gaio, forse più interiormente leggero dei due sopraccitati passanti. Tutti in una gara di corsa eterna, tutti con la propria bottiglia di Brio Rossa, tutti senza dare un sorso per idratarsi e tutti ingenuamente impediti da una sfida senza traguardo: potremmo riassumerla con “ricerca dell’entusiasmo perduto”.
Non sfugge niente nemmeno ai colossi più discreti: Rocchetta è consapevole della quotidianità e semplice reperibilità dei suoi prodotti, infatti preferisce catturare l’attenzione su scenari narrativi inesplorati, più che sull’utilità di un bicchiere d’acqua.
La perseveranza più nella corsa che nel mantenimento di una direzione riguarda tutti, dagli adulti ai bambini, e il clown che li guida, emblema della fantasia infantile smarrita, cosa suggerisce di fare? Di gettare il contenuto delle fiammanti bottiglie rosse sul prato incontaminato, senza che la cosa sia spiegata, senza che nessuno abbia dubbi… E poi, solo insieme, si vola. Un volo che non vede l’anziano lamentarsi per la gravità, la ragazza stringersi ancora di più nel suo abito a paillettes e il giovane campagnolo cimentarsi in qualche avance: le identità sono quasi sovrapponibili, solo due promettenti sposini si riconoscono nitidamente. Una parodia del tentativo sovraesteso di definirsi, pronunciarsi, controbattere, anziché lasciarsi andare?
Ah, sorpresa: l’arbitro della “gara senza premio” è un ragazzo palestrato dagli occhi teneri, con la polo rosa che ricorda vagamente le cromie del Giro d’Italia. E quando tutti volano liberi (o forse, liberi di non chiamarsi, non annunciarsi e non pronunciarsi in contrasto), lui sorride come se ciascuno avesse vinto una metaforica maratona. Quale, quella dell’aver lasciato le proprie ambizioni e il proprio essere sul comodino?
Noi non la pensiamo così: anche quando ce la prendiamo o iperanalizziamo, non siamo altro che una maschera imposta dall’esterno. E attenzione: è coercitiva per la nostra bonarietà, quella cosa che “male non fare, paura non avere”. Ecco che, però, crescendo, abbiamo paura delle conseguenze dei gesti, anche di una giornata trascorsa in panciolle, ed è da lì che iniziamo a mordere per sgomitare, senza necessariamente essere immortalati da un claim.
E come un “puntino, lontano”, citando Daniele Silvestri (un cantastorie della globalizzazione), eccoci svanire in fantasie più grandi di noi, per sfuggire a una realtà pesante, difficile, in cui sentiamo più l’esplosione che le avvisaglie di certe catastrofi. Eccoci ritrovare, solo in una definizione leggiadra e fiera della nostra persona, la “Potenza del Gusto” nominata dal payoff: dobbiamo proprio rendere conto a una piattaforma, un nucleo sociale, un nostro simile degli attimi in cui il nostro volo è indisturbato e non minacciato da insidia alcuna?
No, altrimenti finiremmo a badare solo a noi stessi senza guardare il diverso negli occhi, proprio come in questo spot: ognuno concentrato a fluttuare in una comfort zone quasi per salvarsi. E ancora, concediamoci un cliffhanger, ossia una chiusura non chiaritrice: dobbiamo davvero scappare via per ritrovarci nel nostro intimo, demonizzando la fantasia sana in mezzo agli altri, quelli per cui siamo… Nient’altro che freddi e impegnati?