ANNO 14 n° 119
Il cibo come reinserimento sociale dei detenuti: finita la pena sarà possibile iniziare una nuova vita
Il progetto “Semi Liberi, Agricoltura sociale in carcere” fornisce gli strumenti per estinguere le spese di mantenimento durante il percorso di reinserimento

 

VITERBO – Il 23 pomeriggio si è tenuta una tavola rotonda sul tema “Il cibo come strumento di reinserimento sociale”. L’argomento, discusso da Benedetta Calabresi nella sua tesi di laurea, sottolinea come “il carcere stigmatizza le persone – afferma l’ex studentessa - è un luogo dove perdono la propria identità e rimangono solo dei “detenuti”, ma in questo modo non si consente alla persona di ritornare all’interno del tessuto sociale una volta scontata la propria pena. E’ solo attraverso la cultura e l’educazione che si può rompere questo circolo vizioso”

 

“Attraverso i progetti di reinserimento che hanno come fulcro una sana alimentazione è possibile parlare di recupero in modo ampio – enuncia Marco di Fulvio, Presidente della Cooperativa O.R.T.O. – biodiversità, terreni abbandonati, produzione a bassissimo impatto ambientale e il recupero umano sono i cardini di questo progetto.

Il lavoro della cooperativa inizia nel 2014 dove abbiamo recuperato fondi agricoli e ulivi abbandonati. Nel 2018, con la casa circondariale di Viterbo, abbiamo deciso di ampliare il concetto di recupero spostandolo anche sul lato umano. Nella nostra cooperativa O.R.T.O., dove si contano dieci partecipanti, vi sono persone provenienti dall’abbandono scolastico, dalla sottooccupazione, dalla disoccupazione e detenuti. Stiamo portando all’interno della casa circondariale di Viterbo tecnologie di produzione innovative e, grazie a queste nuove metodologie, è stato possibile recuperare gli ulivi già presenti e due serre. In una di queste, inolte, è stata avviata una lamponaia ed è stato fondamentale l’aiuto fornito da un vivaio viterbese che ha donato 300 piante. Altri lavori effettuati sono stati l’inserimento di aiuole per la produzione di fiori commestibili e piante aromatiche e l’avvio di una coltivazione di melograni e piante di aloe.

Non vengono utilizzate chimiche per la coltivazione – spiega - si ha una grande attenzione sull’uso delle risorse rinnovabili. Con il nostro operato, ovvero con la coltivazione di germogli di piante commestibili a elevato valore nutritivo, si è creata una filiera emotivo-sensoriale che passa attraverso un gesto carico di simbolismo. I germogli non sono un oggetto sconosciuto, è un prodotto ampiamente presente nel mercato e si è evoluto commercialmente. Inoltre utilizziamo imballaggi compostabili per diminuire l’impatto ambientale.

 

Carmelo Musimeci, famoso scrittore che punta costantemente i riflettori sulle condizioni di vita nei carceri in Italia, ha dato il contributo della sua esperienza “la cultura italiana nasce in tavola e ripartire dal cibo, dove in carcere manca una sana alimentazione, è una grande occasione per le persone. L’alimentazione è vista anche come un motivo di confronto e lavorare in questo settore permette di avere dignità sia dentro che fuori alle case circostanziali.”

 

“Lunedì scorso abbiamo presentato la nostra relazione annuale al Parlamento dove si inserisce anche l’attività di Semi Liberi – aggiunge Daniela De Robert, Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale – Il mondo delle carceri non è un pianeta a parte e quei muri e quei cancelli che separano le persone rappresentano una separazione temporale. Comunemente si pensa che chi entra non ne uscirà più, invece non ì vero. Il reinserimento deve assolutamente incominciare durante la pena e continuare dopo l’uscita, perché se si aprono i cancelli del carcere, ma quelli della società si chiudono, il percorso di recupero viene vanificato.

Le pene – continua De Robert - devono tendere alla rieducazione del condannato perché senza una corretta rieducazione la pena stessa perde significato. Per questo bisogna permettere ai progetti di recupero di entrare nelle vite dei carceri e dei carcerati in modo tale da offrire alle persone a iniziare il percorso che porterà al rientro effettivo nella società. E’ una strada tortuosa e con tappe importanti.”

 

“Trovare lavori che possono valorizzare e riqualificare le persone è sempre più difficile – afferma Teresa Mariotti, f unzionario giuridico e pedagogico al carcere di Viterbo – attraverso il ritorno alle origini fornito dall’agricoltura è stato possibile vedere un progetto concreto e i risultati del proprio lavoro grazie alla produzione di olio, miele e germogli realizzata insieme alla cooperativa O.R.T.O. Semi liberi è il frutto più importante che abbiamo raccolto in questi anni.”

“Ho scoperto l’esistenza di tantissime cooperative che assumevano i detenuti e producevano manufatti e prodotti alimentari – prende parola Oscar La Rosa, CEO di “Economia Carceraria” – l’assenza di una distribuzione nazionale era un problema che le accomunava tutte. I prodotti nati da queste cooperative sono artigianali, buonissimi, di ottima qualità e facilitare la loro distribuzione è lo scopo di Economia Carceraria. Per facilitare questo lavoro da poco siamo diventati un e-commerce e in questo modo non solo è possibile far arrivare in tutte le case prodotti genuini e sostenibili a livello ambientale e umano, ma anche sensibilizzare le persone sulla tematica del reinserimento. Troppo spesso il mondo del carcere è sconosciuto o misconosciuto e per questo non si comprende bene l’importanza del lavoro all’interno delle case circostanziali. Un detenuto deve pagare le spese per il proprio mantenimento, lavorando a questi progetti estingue il suo debito con lo stato e lavora per il suo stesso reinserimento una volta scontata la pena. In questo modo quando si esce si è effettivamente liberi e pronti ad iniziare una nuova vita.”

“Viviamo in società complesse composte dove il cittadino non conosce la maggior parte dei meccanismi che la compongono, ma vuole appropriarsi di temi che non conosce – illustra Tony Urbani, ricercatore dell’Università degli studi della Tuscia – Vi è una spiegazione psicologica e sociologica per questo, le istituzioni dovrebbero informare il cittadino, ma sembra che ci sia un odio sociale nei confronti di chi non sa eppure siamo tutti consapevoli che nessuno può essere esperto in tutto.

Questo discorso si interfaccia anche sui prodotti alimentari perché il comportamento del cittadino-consumatore si limita, nella maggior parte dei casi, ad entrare in un negozio, mettere il prodotto nel carrello e infine portarlo a casa.

E’ fondamentale informare il cittadino e da uno studio è emerso che molti cittadini sarebbero pronti a spendere di più per comprare prodotti derivati da aziende che non sfruttano i lavoratori. Questa ricerca parte dal triste dato che, all’interno del settore agricolo, un lavoratore su due non è in regola.

Il cibo quindi può assumere aspetti di rilevante importanza sul tema delle rivendicazioni sociali e dei territori. Nella zona di Soriano del Cimino si sta assistendo alla criticità data dalla filiera delle nocciole in quanto si sta trasformando in una monocultura intensiva. Un problema simile si sta riscontrando anche in Veneto, dove la produzione del Prosecco causa una erosione e desertificazione del territorio

Attraverso le tecnologie digitali – aggiunge Urbani – è possibile dare al cittadino strumenti per collegare il cittadino con il proprio territorio e informarlo sulla sicurezza alimentare e renderlo più consapevole in modo tale da valorizzare i prodotti nati da realtà che non sfruttano i lavoratori.”

 

Nel suo intervento Agese Liverni, tutor progetto Semi-Liberi presso la sede di Viterbo, delucida l’importanza di queste idee e progetti anche per i ragazzi all’interno dei carceri minorili. “L’educazione dei giovani non si deve limitare a scuola e famiglia – spiega – ma tutta la comunità deve occuparsi dei sogni e bisogni dei ragazzi. E’ fondamentale che i giovani escano il prima possibile dal circuito penale e, dopo aver scontato la pena, entrino il prima possibile nel tessuto economico e sociale senza discriminazioni.”

 

Imma Carpiniello, CEO della Cooperativa Le Lazzarelle di Pozzuoli, ha evidenziato una criticità sui lavori in carcere: “abbiamo voluto rompere lo schema di due stereotipi importanti. Nei carceri femminili le attività disponibili sono quasi sempre cucito, ricamo, decupage ovvero attività stereotipate alle donne, noi invece abbiamo voluto inserire un lavoro “tipicamente” maschile ovvero la torrefazione del caffè. Da 10 anni produciamo caffè all’interno del carcere femminile di Pozzuoli e da 3 anni abbiamo aperto un bistrò al centro di Napoli.

Questo secondo passaggio è stato molto importante – conclude – perché normalmente le attività di un carcere solitamente vengono nascoste nelle zone di periferia di una città. Noi invece abbiamo deciso di inserirci al centro della città per favorire ulteriormente il reinserimento.”






Facebook Twitter Rss