ANNO 14 n° 89
''Coinvolto nello scontro sulla Tuscanese: ecco il racconto''
''Condividere aiuta a vincere la paura. Ringrazio chi mi ha soccorso''
12/08/2022 - 04:46

VITERBO - Riceviamo e pubblichiamo: ''Pochi giorni fa sono stato coinvolto in un brutto incidente stradale.

Ero sulla strada Tuscanese in direzione di Viterbo, improvvisamente una macchina proveniente dalla direzione opposta ha invaso la mia corsia. Istintivamente ho cercato di buttarmi a destra, probabilmente anche l’altra macchina ha cercato di correggere la sua traiettoria, ma c’è comunque stato un impatto prevalentemente laterale.

Ricordo di aver visto esplodere il vetro al mio fianco e i frammenti che mi arrivavano in viso, sono andato a finire in una cunetta laterale e una macchina dietro di me mi ha urtato affiancandomi. L’azione della cintura di sicurezza e dell’airbag hanno sicuramente evitato conseguenze molto più gravi: sicuramente avrei sbattuto contro il parabrezza e probabilmente sarei stato espulso dalla vettura. Ora ho dolori da contusioni e contratture probabilmente dovuti alla azione di questi dispositivi di sicurezza , ma senza di loro le conseguenze sarebbero state molto più gravi.

Ricordo poi dei momenti, non nascondo, di terrore e panico. Nonostante il dolore, ho pensato a spegnere il motore. Tuttavia ho sentito l’impianto elettrico continuare a funzionare e tanto fumo intorno a me. Dalla mia parte era impossibile uscire, sono riuscito a scivolare sull’altro sedile, ma anche quella portiera era incastrata da un albero. Ho avuto paura che la vettura si incendiasse.

Vorrei ringraziare ogni persona che si è prodigata nel soccorso. Le persone che si sono fermate spontaneamente e hanno chiamato i soccorsi e hanno cercato di confortarmi, aiutandomi a gestire quei momenti di terrore. I soccorsi sono arrivati velocemente (credo non più di 15 minuti) e ho apprezzato la professionalità dei pompieri (hanno subito forzato il cofano e staccato i fili della batteria, poi hanno scardinato una portiera, permettendomi di uscire) e la professionalità del personale della autoambulanza, che ha fatto una veloce valutazione della mia situazione e della mia lucidità anche con semplici battute.

Sono stato al Pronto soccorso di Belcolle dove sono rimasto per circa 24 ore. Qui il racconto è più complesso. Non mi piace fare facili critiche in contesti dove si gestiscono situazioni molto complesse, però mi piacerebbe se la dirigenza della Asl mi rispondesse ad una semplice domanda: in quei giorni ho saputo che gli arrivi al pronto soccorso erano di circa 100 persone al giorno, con una incidenza importante di codici rossi, come è possibile che a fronteggiare questi arrivi ci siano solo due medici e sette infermieri?

All’ingresso mi è stato assegnato un codice verde, sono rimasto in attesa circa 5 ore, disteso su una barella, sporco di frammenti di vetri, prima che un medico potesse fare una valutazione delle mie condizioni e mi fossero fatti tutti i prelievi opportuni. Mi sono state prescritte delle radiografie, che entro un’ora sono state tutte fatte.

Ho scherzato con il radiologo che ironicamente mi domandava: “Lei ha fatto l’incidente alle 12.30 e viene a fare le rx alle 19.00?”, io per risposta “Questo dovreste spiegarmelo voi”. Racconto questo, ripeto, non per fare facili critiche, ma per evidenziare una cosa che a me è apparsa molto chiare: gli accertamenti che mi sono stati prescritti (anche una Tac toracica) sono stati eseguiti nel tempo di un’ora. C’era invece una evidente difficoltà di gestire tutte le situazioni da parte dei medici del PS, impegnati come erano con la quantità di persone da valutare, approfondire, ricoverare e dimettere, gestire contemporaneamente l’arrivo di codici rossi. Ho trovato l’atteggiamento dei medici che mi hanno seguito nei diversi turni gentile e disponibile, ma era chiaro che si creava una situazione antipatica di doverli tampinare per richiamare la loro attenzione sulla mia situazione.

In tutto questo ci sono infermieri e infermiere gentili e altri scortesi, persone ricoverate gentili ed altre scortesi.

Ricordo la cortesia di una infermiera a cui avevo chiesto dell’acqua, che dopo aver constatato che non c’era più acqua disponibile, si è proposta gentilmente di prendermela a un distributore fuori del reparto. Ricordo la scortesia di un infermiere che alle richieste rispondeva sfuggendo che poi sarebbe intervenuto e poi non si ripresentava affatto (anche quando ho chiesto un antidolorifico).

Tutto questo accadeva sdraiati su delle barelle collocate nel corridoio, nelle stanze non c’erano più posti disponibili. La notte è passata tra urla, porte sbattute in una sorta di girone infernale. A un certo punto non c’erano più barelle disponibili per i codici rossi e varie persone, in grado comunque di stare seduti, si sono rifiutati di cedere la loro barella.

Sono uno psicologo in pensione, ho lavorato per circa 40 anni nella Asl e sono stato coinvolto anche in contesti di emergenza. Uno cosa che mi è sempre stata chiara è che nei contesti di emergenza la gestione dello stress sia del paziente, che dell’operatore e l’ansia che ne consegue, non può essere delegata alle sole risorse e capacità individuali, che oltretutto possono cambiare in relazione ai momenti di vita.

La gestione dello stress va inglobato sistematicamente anche con semplici azioni che riducano l’ansia ( poter avere dell’acqua a disposizione, avere chiare informazioni sui tempi da aspettare, regolare le richieste ai medici, evitando di doverli tampinare ecc..). Attenuare lo stress di un soccorso va a favore del paziente e del lavoro dell’operatore.

Sono andato a vedere la mia autovettura dove è stata depositata. E’ una macchina da rottamare. Non nascondo la mia commozione a ripensarmi sbattuto la dentro. Un vigile mi ha detto che solo per pochi centimetri lo scontro non è stato frontale. Siamo stati in tre coinvolti e mi è stato riferito che anche il caso più grave ora è fuori pericolo. Molte volte penso alla precarietà della vita (legata a pochi centimetri), alla capacità di convivere con i rischi, cercando di ridurli il più possibile ( nel mio caso velocità moderata, cintura e airbag), ma anche l’impossibilità di poterli eliminare del tutto e non farsi paralizzare dalla paura.

Finisco questo prolisso racconto, ma raccontare fa bene, permette di condividere con altri le paure vissute. Condividerle diventa già un’azione per non soccombere alle paure in modo impotente''.

Vincenzo Meschini






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