ANNO 15 n° 146
Olio di CBD in Italia: cosa succede?

Con l’entrata in vigore del Decreto Sicurezza, firmato l’11 aprile 2025 dal Presidente della Repubblica, l’Italia ha ufficialmente vietato la commercializzazione della cannabis light e di tutti i prodotti contenenti CBD, tra cui l’olio di CBD. Il testo approvato modifica la legge 242 del 2016, annullando il quadro normativo che negli ultimi anni aveva consentito la crescita di un intero settore.

L’articolo 18 del decreto stabilisce che non sono più consentite l’importazione, la trasformazione, la distribuzione, la vendita e persino la detenzione a fini commerciali di infiorescenze di canapa e derivati, inclusi oli, resine, estratti e prodotti trasformati. La sola deroga prevista riguarda l’utilizzo delle infiorescenze finalizzato alla produzione di sementi, ma solo se dichiarato in modo esplicito e documentato in fase di coltivazione.

Per le aziende del settore si tratta di un colpo diretto. Sono circa 3.000 le realtà coinvolte, tra produttori, trasformatori e rivenditori a rischio immediato di chiusura delle attività. Il provvedimento, entrato in vigore il 12 aprile, non lascia spazio a interpretazioni: ogni forma di attività economica connessa alla canapa, se non legata alla filiera tessile o alimentare per uso zootecnico, è da considerarsi illecita.

I principali sindacati agricoli, tra cui Coldiretti, e diverse associazioni di categoria hanno denunciato l’impatto devastante della norma. Si tratta della cancellazione di un settore che si è sviluppato in assenza di una regolamentazione ben strutturata, anche se nell’assoluto rispetto della legge vigente. Allo stato attuale, molte aziende si trovano con magazzini pieni di prodotti che sono diventati illegali nel giro di 24 ore, senza neanche aver ottenuto un’indicazione sulle modalità di smaltimento.

Il nuovo decreto non distingue tra oli contenenti solamente CBD o quelli con presenza di THC. L’interpretazione data dal decreto rischia di criminalizzare condotte che fino a ieri erano pienamente legali. Alcuni studi legali stanno valutando ricorsi, anche in sede europea, per contestare un possibile conflitto con i principi della libera circolazione delle merci.

Il Parlamento ha ora 60 giorni per convertire il decreto in legge. I margini di modifica sono stretti, ma politica e imprenditoria stanno esercitando forti pressioni sull’opinione pubblica con la speranza di trovare una soluzione che possa salvare il settore.

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