ANNO 14 n° 118
Percorso socio-riabilitativo
interrotto per una disabile 21enne
''Fallito il progetto pilota della Asl, pazienti psichici destinati''
18/05/2016 - 02:00

VITERBO - Si fa presto a parlare di integrazione, di percorsi socio riabilitativi, di autonomia dei pazienti sofferenti psichici, quando poi la soluzione proposta dalla Asl di riferimento, quella di Viterbo in questa fattispecie, è solo l'affidamento ad un istituto. Magari anche fuori regione, con un notevole aggravio di costi per la collettività. Il caso complicato riguarda una ragazza viterbese di 21 anni, per cui il Servizio Disabile Adulto della ASL di Viterbo ha escluso un certo tipo di percorso riabilitativo, che però per il benessere della giovane aveva dato in precedenza risultati positivi. Un percorso interrotto: la denuncia arriva da Carmela Grassotti, socia fondatrice di Arlaf Lazio (Associazione romana e laziale affidamento famigliare) e responsabile della sezione di Viterbo ''Giusi Speciale''.

''Negli anni ‘60 Siena era nota ai viterbesi perché un manicomio, che funzionava ‘bene’, accoglieva i nostri malati psichiatrici – racconta la Grassotti -. Le persone con disturbi psichiatrici che non potevano essere curate a casa o nelle strutture sanitarie della nostra provincia venivano spedite a Siena. Oggi tocca ai nostri disabili, gravi e/o medio gravi, essere ‘deportati’ in un’altra città della Toscana, Arezzo''. E’ proprio ad Arezzo, infatti, che si trova un istituto che accoglie pazienti affetti da simili patologie.

''Per loro in tanti anni nella nostra provincia non sono stati sviluppati progetti e strategie, non sono stati realizzati servizi territoriali e strutture d’accoglienza capaci di tenerli vicini alle loro famiglie, ai luoghi dove sono cresciuti e alle persone che hanno conosciuto e frequentato – accusa la referente Arlaf -. Questo è capitato ad una ragazza diversamente abile cresciuta in una famiglia affidataria viterbese per 21 anni, la sua età''.

La giovane ha potuto ricevere negli anni cure, amore e affetto dalla famiglia affidataria. Ma il futuro è adesso e bisogna preoccuparsi di renderlo per lei il migliore possibile. ''Per lei la famiglia e il servizio disabile adulto Asl/3 avevano programmato un percorso di graduale separazione, di graduale autonomia – spiega ancora Carmela Grassotti -. Il progetto ambizioso aveva previsto un’esperienza di convivenza con altre quattro donne disabili che necessitavano di uno spazio abitativo autonomo. È stata aperta una porta alla gestione integrata pubblico-privato: da una parte l’alloggio e il vitto, le spese personali, una badante notturna e una diurna a carico delle famiglie e dall'altra parte un progetto riabilitativo e sanitario curato dalla Asl. Un progetto innovativo, della gestione del ‘dopo di noi’ che tanto preoccupa le famiglie dei ragazzi con disabilità gravi e medio gravi, un disegno che mirava ad alleggerire le spese del servizio pubblico e allo stesso tempo a responsabilizzare la famiglia affidataria con una partecipazione economica importante''.

Una sperimentazione importante che ha riguardato la Tuscia, nella quale, secondo la referente Arlaf, sono stati riposti ed investiti speranze, tempo e denaro. Denaro pubblico. ''La gestione si è rivelata però soltanto ad appannaggio della Asl – denuncia -, nessuna delle famiglie delle cinque donne che abitavano l’appartamento condiviso ha avuto mai le chiavi di quella casa, nessun famigliare è stato messo al corrente delle spese di gestione, del regime alimentare, degli orari e delle mansioni delle badanti che sono state scelte e gestite dagli operatori della Asl. Gli amministratori di sostegno hanno firmato i Pai (Piani assistenziali individuali) nella speranza che fossero adatti alle esigenze riabilitative di ciascuna ragazza. Un’esperienza che aveva la possibilità di essere un esempio per la nostra regione, purtroppo è fallita''.

Infatti, come racconta la Grassotti, ''la ragazza con grave disabilità è stata allontanata dall'appartamento condiviso nonostante la massima disponibilità della famiglia affidataria dimostrata per tutti gli interventi riabilitativi e/o assistenziali privati necessari. Per loro l’obiettivo era ed è ancora di dare a questa giovane un futuro di autonomia e d’integrazione con le realtà del territorio viterbese''. Ma da parte della Asl la risposta è stata negativa.

''La proposta del Servizio disabile adulto di Viterbo è stata quella del ricovero in una residenza assistenziale per disabili fuori provincia e fuori regione – racconta ancora -. Chi risarcirà le speranze infrante, il dolore dell’allontanamento, il travaglio di un anno e mezzo di sforzi per l’adattamento a questa esperienza, le aspettative disattese che anche a Viterbo si potesse realizzare un progetto pilota di cui andare fieri?''.

Grassotti, Arlaf e parenti di pazienti sofferenti psichici però non si arrendono. ''Oggi la famiglia affidataria di questa ragazza sta realizzando un nuovo progetto – svela -, ha deciso di intraprendere un percorso riabilitativo di semi-autonomia vicino agli affetti più cari per la giovane, alle sue compagne di scuola nella città della quale conosce e riconosce tutte le strade e i luoghi. Questa esperienza vuole essere un invito ai genitori dei disabili a non concedere deleghe in bianco agli operatori sanitari – conclude - o agli amministratori pubblici sulle questioni che riguardano il benessere di ragazzi già tanto provati dalla vita e dallo stato di salute precario''. Perché la speranza di una vita autonoma e integrata no, quella no, non si può interrompere e spedire fuori provincia.






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