ANNO 14 n° 117
''Non lasciate che il rebus Manca venga dimenticato''
L'appello dello scrittore Iapichino
14/12/2016 - 05:54

VITERBO – (i.m.) Attilio Manca, anzi il caso Attilio Manca. Se ne continua a parlare da anni oramai, ma senza che ancora qualcuno sia giunto ad una conclusione, ovvero alla verità. E ora arriva un appello, l’ennesimo chiaro e forte, stavolta rivolto alla stampa nazionale: ''Non lasciate che il rebus Attilio Manca venga liquidato e dimenticato''.

A scrivere la lettera accorata indirizzata a famosi giornalisti italiani e a personaggi di rilievo culturale, come Travaglio, Guzzanti, De Magistris, Ciotti e Di Matteo, è Luciano Armeli Iapichino, docente e scrittore di mafia che molte volte si è occupato del caso dell’urologo trovato morto nella sua casa di Viterbo alla Grotticella il 12 febbraio 2004 a seguito di un mix letale di eroina e farmaci vari. Da quel giorno sono trascorsi ben 7 anni senza risalire ancora alla verità della sua morte. Overdose d’eroina per gli inquirenti, delitto di mafia per i familiari del giovane urologo. Proprio loro, infatti, sono stati i primi a sostenere che il 35enne fosse una vittima della mafia, fatto fuori per coprire l'intervento che Bernardo Provenzano aveva subito a Marsiglia.

''Criminale, e non saprei come definirlo, il farsesco e accidentato iter processuale sulla morte di Attilio Manca, sulla morte di un ragazzo di provincia – scrive Iapichino -, che avrebbe, colto da estrema euforia esistenziale, essersi inoculato nell’avambraccio sinistro, lui che era un mancino puro, un mix di eroina, diazepam e alcool, sfigurandosi il volto e martellando il corpo di ecchimosi, testicoli compresi; incenerendo, altresì, in un solo attimo i sacrifici di una vita, la luminosa carriera, l’amore per i familiari, la stima di pazienti e di colleghi per un attimo di ‘sballo’ o di ‘non so cosa’, così come la procura di Viterbo, da anni, forse troppi, vuole, a fatica e senza imbarazzo, trucidando la norma giurisprudenziale e, allo stesso tempo, l’intelligenza di una civiltà, chiudere la quaestio''.

Parole queste che raccontano l’insoddisfazione del docente Iapichino e della famiglia Manca su come sia stato trattato, nel corso degli anni, il caso del giovane urologo e come, tutt’ora, sta continuando ad essere considerato: ''Senza entrare nel merito delle incongruenze procedurali – continua la lettera -, delle testimonianze, dei referti autoptici, dei tabulati telefonici, dei verbali veri e di quelli falsi, dei pentiti, di Carmelo D’Amico, della Costa Azzurra, Marsiglia e Provenzano, delle coperture e della sua latitanza, di probabili mandanti, dell’estromissione della parte civile, della presunta o certa accidia istituzionale, di quella che qualcuno ha definito sciatterie giudiziarie e le indagini, sulla morte di Attilio, superficiali, una cosa sembra assolutamente certa: quel volto, come quel corpo, devastato da inaudita violenza non deve e non può essere sbattuto in faccia ad una nazione e, prima di essa, ai familiari di questo ragazzo come azzardato suicidio''.

Poi l’appello ai media: ''Solo voi, riferimenti degli umili e degli ultimi, potrete coordinare il vostro animo, le vostre competenze, i vostri ideali, la vostra volontà e i vostri sforzi per far si che il rebus Attilio Manca non sia liquidato, con la complicità di un certo bavaglio mediatico, come affaire di un eroinomane di provincia. La mobilitazione di tanti ha salvato la Costituzione - conclude la lettera -. Quella di tutti, se voleste aiutarci a organizzarla, evidentemente serve un piccolo sforzo in più, restituirà dignità a un giovane ragazzo siciliano e alla sua terra che, in un piccolo cimitero, porta il suo nome. Aiutateci''.

Intanto Antonio Ingroia, legale della famiglia di Attilio Manca, ha annunciato che presenterà nuove prove alla procura di Roma. L’avvocato è infatti fermamente convinto che la morte dell’urologo sia da imputare solamente a fatti mafia e non all’overdose di un eroinomane, come è stato da poco definito Manca da alcuni testimoni durante le indagini svolte dal tribunale di Viterbo. Anche per quest'ultimo fatto Ingroia non ritiene più competente gli uffici di giustizia della Tuscia, ma trattandosi secondo lui e la sua famiglia di un delitto di mafia, presenterà le nuove prove, non ancora acquisite dalla magistratura all’antimafia di Roma. Al momento non sono stati rivelati i dettagli degli incartamenti che arriveranno nella Capitale, bisogna quindi aspettare la consegna per saperne di più.





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