ANNO 14 n° 79
''Mammagialla esempio
di reinserimento''
Rudy Guede elogia il carcere viterbese: ''E' un'istituzione modello''
03/05/2016 - 00:13

VITERBO - Il carcere Mammagialla? ''Un modello, dove tocchi con mano cosa significa reinserimento''. Lo dice, anzi lo scrive, Rudy Guede, l'ivoriano che nella casa circondariale del capoluogo della Tuscia sta scontando 16 anni di reclusione per la condanna (ottenuta con rito abbreviato) per l'omicidio di Meredith Kercher, l'inglese uccisa a Perugia il 1 novembre del 2007. Quello di Guede è un lungo messaggio apparso sul suo profilo Facebook in occasione della festività del Primo maggio. Eccolo, riportato per intero.

''Buon Primo Maggio, buon Maggio a tutti. Festa dei Lavoratori nel bel mezzo di una primavera che avrebbe dovuto essere inoltrata, e invece fuori piove. Quello che vedo anch’io dalle sbarre. La pioggia, il vento, il sole – qualcuno dirà che lo vedo “a spicchi” – io e voi ancora li condividiamo. Sia dentro che fuori di qui. Qui dove sto io, però, la condizione di lavoro cambia rispetto a dove state voi, di là dal muro dove io vivo, dormo e mangio. Il muro del carcere, fatto di chiavi, porte e piazzali di cemento. Fino a fine pena per la maggior parte, tutto quel che resta da vivere per qualcun altro. Chissà, per me che di anni da scontare ne ho avuti 16, come, questi spazi – che diventano anche spazi della mente – segneranno l'inconscio mio una volta fuori di qui. Quali saranno i ricordi. Non vedo mia madre dal 1998. La volta prima era stata nel '92/93, non ricordo bene. È viva. Eppure è qui nei miei pensieri, accanto al mio cuore, “l’amor mio che non muore”. L’amore che “guarda non con gli occhi ma con l’anima”. William Shakespeare. 

Festa dei Lavoratori, dicevamo. E anche in carcere si lavora e condivide innanzitutto una condizione. Senza distinzione tra detenuti, personale e polizia. Tutti viviamo uno stesso spazio che crea una condizione condivisa dove poi si sviluppano procedure e differenze. Ma in carcere non è dura solo per me, ma anche per il Direttore, per il personale amministrativo, per la polizia penitenziaria. Non è facile per nessuno. È un lavoro difficile a prescindere. Fatto sempre nel rispetto delle regole. In un carcere, come quello di Viterbo, che resta sempre un carcere, e non potrebbe essere altrimenti, ma è un modello dove tocchi con mano cosa significa reinserimento da parte di un’istituzione che pensa innanzitutto se stessa come repubblicana e democratica. Come i valori che caratterizzano il Primo Maggio – che da noi è anche il Primo Maggio di Portella della Ginestra, del deputato Pio La Torre e il Maggio di Peppino Impastato, il mese in cui le Brigate Rosse hanno ucciso Moro e la mafia il giudice Falcone – il Primo Maggio insegna. Il Primo Maggio che a me porta in testa anche le lotte per la decolonizzazione della terra che mi ha visto nascere, l’Africa. Radici di cui andare, e ne vado fiero.

Un lavoro difficile lavorare in carcere. Difficile anche per il detenuto, perché anche il detenuto lavora. Perché in carcere non ci si sta “a gratis” come molti ancora credono. E il lavoro in carcere non è solo un valore e un fondamentale mezzo di reinserimento, ma anche necessità. E non sempre si riesce a lavorare.

A breve mi laureo, spero a luglio. Lavoro anche, perché i libri su cui studiare costano. E ho potuto farlo grazie alle mie forze. Grazie anche al lavoro del personale amministrativo volontario e delle associazioni. Grazie al lavoro del Direttore, e degli uomini e delle donne della polizia penitenziaria. Grazie alla solidarietà degli altri detenuti che condividono con me questa fase dolorosa della nostra vita. A loro va il mio pensiero, il Primo Maggio. E a tutti il mio augurio di buona Festa dei Lavoratori e buon Maggio!''





Facebook Twitter Rss