ANNO 14 n° 117
L'Unitus difende
le produzioni biologiche
Il dipartimento Dafne č uno dei partner del progetto ''Alt rame in bio''
12/07/2016 - 11:02

VITERBO - Venerdì 8 Luglio, una giornata dimostrativa organizzata dal dipartimento di scienze per l’agricoltura e le foreste (Dafne) dell’università degli studi della Tuscia, presso l’azienda didattico-sperimentale ''Nello Lupori'' dell'ateneo di Viterbo.

L’incontro è stato organizzato dal professore Giorgio Balestra, responsabile scientifico di dell’unità operativa del Dafne, all'interno del progetto nazionale ''Alt Rame in Bio'' del ministero per le politiche agricole agroalimentari e forestali (Mipaaf), per la riduzione dell’impiego del rame in agricoltura biologica nella protezione di differenti coltivazioni orto-frutticole di rilevanza nazionale.

L'agricoltura biologica senza rame, come l'agricoltura convenzionale, è la sfida delle sfide per la comunità scientifica chiamata a rispondere alle direttive europee. Infatti, dal 2018 in tutta l’Ue ci sarà un’ulteriore riduzione dell’impiego dei sali di rame in agricoltura per la difesa da patogeni (batteri e funghi) di tutte le coltivazioni ortofrutticole (bio e non) pertanto, trovare per tempo delle alternative risulta vitale per molte filiere agroalimentari per le quali l’Italia riveste un indiscusso ruolo di leader come produttore ed esportatore. Al tempo stesso si tratta di proteggere sempre più i nostri ecosistemi, gli operatori, ed i consumatori che, sempre più, richiedono produzioni agroalimentari prive di residui chimici per questo l’agricoltura biologica italiana, punto di riferimento a livello mondiale, necessita sempre di essere tutelata e rafforzata anche con l'aiuto delle ricerca scientifica.

Il progetto ''Alt rame in bio'', nasce per trovare nuove strategie per limitare o eliminare totalmente il rame, in quanto metallo pesante largamente utilizzato nella difesa delle colture bio, per combattere funghi e batteri responsabili di gravi danni.

Si tratta di un lavoro di equipe iniziato un anno fa da sei partner, università della Tuscia con il dipartimento Dafne, il centro di Laimburg di Bolzano, la fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige e la fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica (Firab), il Crea Ing, e il Crea Pav (quest’ultimo coordina l’intero progetto). L’obiettivo è ridurre i quantitativi di rame, ottimizzare i trattamenti sulla base di modelli previsionali, individuare molecole di origine naturale, alternative al rame per le difesa d’importanti coltivazioni (vite, pesco, susino, albicocco, pomodoro) da parassiti (batteri e funghi) in grado di determinare notevoli perdite economiche.

La giornata, è iniziata con una presentazione dell’azienda didattico-sperimentale ''Nello Lupori'' dell’università di Viterbo da parte del professor Rossini.

Successivamente, in campo, è stato descritto il progetto ''Alt rame in bio'' nel suo insieme dalla dottoressa Anna La Torre del Crea Pav, e coordinatrice dell’intero progetto.

E’ stata poi la volta del professor Balestra il quale ha esposto e descritto le prove condotte, prima in laboratorio e quindi in serra e attualmente in corso in pieno campo, per la difesa del pomodoro da patogeni di natura batterica mediante l’impiego di sostanze di origine naturale alternative all’impiego dei Sali di rame. Questa ricerca ha permesso d’individuare specifici estratti vegetali ed oli essenziali i quali, a concentrazioni particolarmente ridotte, si sono dimostrate particolarmente efficaci, dimostrando di poter ridurre fino al 50% delle attuali quantità di rame metallo per il controllo di pericolosi patogeni quali, Pseudomonas syringae pv. tomato e Xanthomonas axonopodis pv. vesicatoria, 2 batteri fitopatogeni, in grado di determinare perdite ingenti su piante e bacche di pomodoro, causando danni e perdite mediante le patologie note rispettivamente come, la picchiettatura e la maculatura batterica del pomodoro.

Nel progetto sono in corso di valutazione differenti sostanze di origine naturale anche nei confronti dell’agente del cancro batterico delle drupacee (Xanthomonas arboricola pv. pruni). Sia questo batterio, come X. a. pv. vesicatoria essendo patogeni da quarantena, necessitano di strutture idonee e riconosciute dal servizio fitosanitario regionale (Sfr) e centrale del Mipaaf (Sfc). Per questi batteri fitopatogeni è stato coinvolto lo spin off dell’Ateneo della Tuscia PhyDia (www.phydia.eu) specializzato in fitodiagnostica il quale ha svolto questa parte di attività di ricerca presso i propri laboratori.

Quindi è stata la volta del dottor Carlo Bazzocchi della fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica (Firab), il quale ha fatto il punto normativo ed applicativo del rame in Italia ed in Europa.

Successivamente, con il professor Massimo Muganu, responsabile del vigneto biologico presente in azienda e caratterizzato dalle principali selezioni/cloni bio ed autoctone del Lazio, sono state approfondite tematiche inerenti la viticoltura biologica ed il rame.

Per ogni intervento, numerose domande di studenti, produttori bio e non, rappresentati della associazioni di categoria (Cia, Coldiretti, Confagricoltura) e del mondo istituzionale, con la presenza e l’intervento dell’onorevole Terrosi, membro alla camera dei deputati in commissione agricoltura, particolarmente attiva e sensibile alle tematiche della giornata, hanno reso l’incontro ricco di spunti di confronto e di discussione. Per concludere tutti gli intervenuti, hanno potuto degustare di prodotti locali biologici locali.

I risultati che scaturiranno da queste ricerche andranno a supportare la politica italiana ed europea in vista del dibattito sull'uso del rame nell'agricoltura biologica, per il quale l'Unione Europea aveva già fissato, con il regolamento Ce n.473/ 2002, un limite massimo di impiego.

L’intenzione (ed i risultati che si stanno conseguendo nel progetto vanno nella giusta direzione) è di rispondere a bisogni reali e concreti degli operatori bio (e non solo) nei campi e quindi, sviluppare ed applicare strategie ecosostenibili, è la risposta migliore che la ricerca italiana può fornire all’intero comparto agroalimentare per difenderlo da pericolosi parassiti senza l’impiego della chimica.






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