ANNO 14 n° 117
Il derby dei nostri padri, il derby dei nostri figli di Andrea Arena
30/03/2016 - 02:00

(Un derby di basket al PalaCimini negli anni Novanta)

di Andrea Arena

VITERBO – Viterbese contro Rieti, ancora. Ancora per decidere un campionato, mica il torneo del bar. Ci si può abituare ad una rivalità pallonara come ci si abitua a tutto il resto? Può venire persino a noia? Ma no, e bastava andarsi a fare un giro ieri pomeriggio ai botteghini dello stadio Rocchi per incontrare tanta gente non annoiata, e anzi in fibrillazione. Macchine più o meno accostate davanti all’edicola di via della Palazzina, quattro frecce dentro, un saltello veloce: ''Mi dà due tribune, per favore?’’ e ''Due biglietti di curva’’. Tifosi vestiti ancora con la tuta di lavoro, ragazzini col cellulare, varia umanità. Tutti a prendersi il tagliando, ad annusare l’inizio della primavera e la fine di un’astinenza che ha costretto i viterbesi quasi a stare quasi un mese senza calcio. Te possino.

E poi, perfidia di un calendario bastardo, si riparte da qui, dal Rieti, la seconda della classe, quattro scatti sotto. Ancora il Rieti, già. Come due anni fa, campionato di Eccellenza, Polani e Vegnaduzzo che chiudono il discorso e il Terminillo che per una volta è gialloblu, paradiso di neve artificiale. Che sudata, però quell’anno per i cugini di campagna contro quelli di montagna: sorpassi e controsorpassi, allenatori che cadevano come mosche, i presidenti Camilli e Fedeli che si scornavano in simpatici teatrini. E quel finale, il 1 maggio al Manlio Scopigno, di festa a metà, visto che ai tifosi gialloblu fu proibita la trasferta.

Eccola, la rivalità che rischia di diventare consuetudine. Un campanilismo strano, in questa Italia di derby spesso troppo vicini. La Sabina e la Tuscia sono sì terre confinanti e se vogliamo simili (perché isolate, fino a qualche anno fa, o troppo sacrificate all’ombra di Roma), ma i due rispettivi capoluoghi alla fine restavano a distanza di sicurezza, almeno finché non hanno scavato la montagna sopra Terni (ah, Terni: ecco invece una rivalità in via d’estinzione, per Viterbo) per farci passare una comoda superstrada.

Eppure, le prime scintille ormai sono datate. Metà anni Novanta, in particolare, quando qualcuno qui si mise in testa di far diventare la città dei papi anche città dei canestri, canestri maschili, ché prima erano quelli rosa. Capitò per caso che mentre Viterbo scalava le categorie (un paio, a dire la verità), Rieti non se la stesse passando bene, in flessione rispetto ad un passato (e oggi ad un presente) di eccellenza baskettara, anche in dimensioni nazionali o addirittura continentali, con la Coppa Korac. Le due avversarie dunque si scontrarono, e se per i gialloblu il derby valeva una stagione, forse per i reatini era soltanto un’occasione per ribadire la loro – indiscussa – superiorità. Alcune volte vinsero i primi, altre i secondi. Ma furono scontri memorabili, che avvolgevano una città, che mobilitavano i sindaci (nacque forse allora la ‘’malattia’’ di Marcello Meroi per la pallacanestro?), che spostavano discrete masse di persone. Le trasferte oceaniche degli amarantocelesti al PalaCimini (non ancora PalaMalè), certo, e quelle più ridotte ma comunque agguerrite dei viterbesi al PalaLoniano (non ancora PalaSojourner). Poi tutto finì: Rieti è tornato lassù, Viterbo ha rinunciato ai sogni di gloria, almeno in questo sport.

Oggi si ritorna al pallone, e a sfide decisive di una rivalità sana – a parte qualche caduta di stile recentissima -, coinvolgente, qualitativamente apprezzabile visto ciò che si trova in giro oggi. E alimentata anche da grandi personaggi che hanno vissuto in entrambe le realtà: da Claudio Vandoni a Lollo Tedeschi per i canestri, fino a Dino Pezzotti, Sergio Pirozzi, Daniele Ingiosi, Seba Gay. Oggi il derby è dei Giannone e dei Costalunga e degli Zonfrilli. Ma non sono i giocatori a fare il derby: il derby è dei territori che lo ospitano, e soprattutto delle persone che lo vivono.






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