ANNO 14 n° 88
Il carabiniere viterbese
che sfuggì al
rastrellamento del Quadraro
25/04/2016 - 02:01

di Chiara Ciripicchio

ACQUAPENDENTE - 7 ottobre 1943. Non un giorno come tanti per Raffaele Vidoni. Originario di Torre Alfina, frazione del comune di Acquapendente, all’epoca aveva appena 21 anni e si trovava a Roma, precisamente alla stazione Quadraro, in veste di carabiniere. Erano gli anni più caldi della Seconda guerra mondiale e la situazione in cui versava la Capitale era estremamente delicata. Vidoni arrivò al Quadraro nel settembre del ’43 dopo aver trascorso alcuni mesi a Orvieto e dopo che la stazione di Cinecittà, tappa successiva del suo percorso, venne distrutta dai bombardamenti.

Appena un mese più tardi, in ottobre, si verificò un drammatico episodio in merito al quale molti lati restano ancora avvolti nel mistero e proprio il racconto e il ricordo del carabiniere viterbese ha l'obiettivo di riportare alla luce diversi dettagli che ruotano intorno a quella che è ricordata come la deportazione del Quadraro. I tedeschi, infatti, deportarono i carabinieri presenti all’interno della stazione perché ritenuti pericolosi in quanto sospettati di essere fedeli al re.

I rastrellamenti, in realtà, riguardarono circa 2.000 carabinieri in tutta Roma e diversi mesi più tardi, il Quadraro venne nuovamente preso di mira dai tedeschi i quali arrestarono e deportarono in Germania circa 900 romani. L’episodio è stato ricordato proprio lo scorso 15 aprile durante una cerimonia al Campidoglio.

Sull’episodio che interessò l’Arma dei carabinieri, invece, le rivelazioni di Vidoni aprono ora nuovi e sorprendenti scenari. Al Corriere della Sera, infatti, il 94enne viterbese ha raccontato che l’azione dei tedeschi, in realtà, non fu effettuata in totale riservatezza ma qualcuno sapeva che i soldati di Hitler sarebbero arrivati al Quadraro con l’intenzione di catturare i carabinieri. Vidone fu testimone di quel tremendo episodio e riuscì a mettersi in salvo dalla furia tedesca.

Ecco come andarono le cose. La soffiata su un imminente arrivo dei tedeschi arrivò a Vidoni da un amico arruolatosi nei battaglioni M, il quale lo informò delle voci che circolavano all'interno del suo ambiente. Il carabiniere viterbese fu uno dei pochi a credere a quella confidenza e, nelle ore successive, tentò in tutti i modi, ma inutilmente, di allertare alcuni suoi compagni. Solamente due carabinieri e il vice brigadiere del Quadraro gli diedero retta e insieme, spaventati, decisero di trascorrere la notte nascosti in un fienile.

Il mattino seguente, al ritorno in caserma, riuscirono a scappare ed evitare quindi ''l'ispezione''. Non riuscirono, tuttavia, a convincere il maresciallo circa la pericolosità della situazione e solo l'intervento tempestivo del vice brigadiere permise a Vidone e ai suoi tre colleghi di lasciare la caserma. Solo qualche ora più tardi appresero dell'arrivo dei tedeschi al Quadraro. Con estrema fretta i militari caricarono tutti i carabinieri presenti sulle loro camionette alla volta della Germania.

Caparbietà, coraggio, intraprendenza, casualità o semplice fortuna. In qualsiasi modo la si voglia vedere, Raffaele Vidone riuscì a salvarsi e a evitare la deportazione. Resta però il rimpianto per non essere riuscito a mettere al sicuro i tanti colleghi, colpiti da un destino ben diverso dal suo. 






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