ANNO 14 n° 117
Livingstone in SalottoDalla paura all'amore
>>> di Massimiliano Capo <<<
20/04/2015 - 00:01

di Massimiliano Capo

VITERBO - Quattro secoli prima che nascesse Cristo, in quello spazio ventoso, dai colori accesi e dal mare color cobalto che chiamiamo Grecia, visse un filosofo che ci è noto col nome di Platone.

Con lui abbiamo a che fare ogni giorno anche duemilaquattrocentoerotti anni dopo la sua dipartita da questa terra.

Anche non volendo. Anche non avendo letto una riga delle tante che ha scritto.

Anche non essendo d’accordo con nulla di quello che ha pensato e detto.

E’ Platone, con una forza che i secoli non hanno scalfito, ad aver determinato e definito l’impianto logico-mentale che fa da fondamento alle pratiche e ai saperi della nostra cultura.

Tra i tanti libri che ci ha lasciato, è nella Repubblica che Platone definisce i principii regolativi della vita in comune e dell’arte.

Obiettivo principale, purificare la città.

Obiettivo secondario, purificare il resto, cioè la vita.

Ai suoi tempi, se la prese con la tragedia, il luogo in cui si esprime la profonda esperienza umana delle cose del mondo, della realtà come simultaneità e compresenza di forze contraddittorie non riducibili ad una sintesi, ad un unico principio razionale.

E perciò stessa pericolosa per l’affermazione di una visione del mondo (lo ha detto meglio di come avrei saputo fare io Enrica Lisciani-Petrini in un bel saggio sulla musica del novecento) “basata sulla convinzione che la realtà sia retta da un ordine logico-ideale, visibile soltanto all’occhio della mente, del pensiero. Un ordine che rappresenta quindi la vera sostanza delle cose, e come tale il principio unico ed eterno, solare, in grado di illuminarle nella loro verità. Ma soprattutto in grado di redimerle, purificarle, salvarle dalla loro mortalità corporea e sensibile, per destinarle ad una sicura eternità finale”.

Ecco: purificare, salvare, redimere, far sintesi. Per arrivare alla verità, la buona vecchia Verità, quella con la V maiuscola, che ha raccontato il mondo negandolo.

Di contro, nella poesia, nella poesia tragica, c’è il racconto della ineliminabile ambiguità del reale, della sua insuperabile irriducibilità ad un qualunque dei tanti ‘unum’ presenti sul mercato delle certezze.

Dell’inscindibile doppio rappresentato da Apollo e Dioniso.

L’eterno scontro tra le linee nette e ben definite, apollinee per l’appunto, che disegnano le cose e gli altri che incontriamo sulla nostra strada e il fondo oscuro, impenetrabile, magmatico, in costante trasformazione, cioè dionisiaco, che portano con loro come l’altra faccia della stessa medaglia.

Se così è, alla staticità della purezza si contrappone l’inarrestabile oscillazione, provvisoria e duplice, del nostro essere finiti, oscillanti tra essere e non essere, tra vita e morte.

Per dirla con le parole dello stesso Platone: ''In effetti cose fra di loro opposte sono fonte di confusione''.

Con buona pace di tutti i punk del mondo che della confusione hanno fatto la ragione di una vita.

Che poi io volevo tipo parlar d’amore e tutta questa cosa di Platone mi è tornata in mente perché a far ordine nel cuore si fatica a trovare un punto da cui cominciare e allora ho pensato di rivolgermi ai classici come ci consigliavano al liceo che dice che dentro ci sono le risposte a tutto anche alle domande che non ti sei mai fatto e per questo si chiamano classici perché quando li apri sembrano scritti oggi e proprio per te.

E allora son partito da lontano per arrivare poi a BattistieMogol e alla loro Confusione, quella del ''ma chi mai disse che si deve amar come se stessi il prossimo con moderazione'' e poi ancora ''tu vorresti imbalsamare anche l'ultima e più piccola emozione” che mi sembra un piccolo classico del pensiero dionisiaco con una spruzzata di zen (e non me ne voglia nessuno dei tenutari delle rispettive verità dottrinarie).

Perché è davvero una gran confusione e medaglie a tre teste tra cui scegliere, se mai esistessero, il raccontar l’amore, cosmico o meno che sia.

Un po’ come con la musica sperimentale, con la ricerca d’avanguardia: si tratta di superare il principio di causa ed effetto e lavorare sui suoni senza uno scopo. Senza voler imbastire un discorso. Senza l’ossessione della forma. Superando modi e metodi codificati.

Aprendosi costantemente al nuovo.

Un giorno John Cage ebbe la possibilità di entrare in una camera anecoica, una stanza completamente insonorizzata, in cui, nell’assoluto silenzio di quelle sei pareti, percepì due suoni: uno alto e uno basso. Quello alto, gli fu spiegato una volta uscito, era il suono del suo sistema nervoso; quello basso, quello della circolazione del sangue.

Suono suoni che sentiremo (e sentiamo) sempre, avendo orecchie per sentire.

E laddove queste orecchie sono collegate ad una mente libera, libera di entrare nell’atto dell’ascolto sentendo ogni suono com’è (e non come dovrebbe essere secondo regole e regolamenti) allora saremo “innocenti e liberi di ricevere di nuovo in ogni attimo del presente un dono celeste” (Meister Eckart).

E guardando negli occhi la ragazzina dai capelli chiari e gli occhi azzurroverdi saremo certi che se la “mente è disciplinata il cuore passa rapido dalla paura all’amore''.





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