ANNO 14 n° 118
Così le mura
tornano a splendere
Viaggio nel primo tratto di cinta ormai pronto per essere riconsegnato alla città
29/04/2016 - 02:01

di Andrea Arena

VITERBO – Restaurare e consolidare. Delicatezza e cura, ma anche la consapevolezza che questa roba (anche se non si dovrebbe dire così) così antica ha bisogno di certezze per il futuro. Perché le mura civiche di Viterbo sono tra le più belle e preziose d’Italia (ci sono quelle di Lucca e poche altre che possono reggere il confronto) e affinché ciò che accadde nel 1997 – il crollo di una trentina di metri di cinta, verso Pianoscarano – non si ripeta mai più.

Qui tutte le immagini dello straordinario intervento di restauro alle mura civiche

L’Arcus (oggi Ales), la società di sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo del Mibact, ha puntato una fiche da un milione di euro su questa scommessa. Il Comune ne ha aggiunte 300mila. I soldi, insomma, c’erano, peccato che i lavori facessero fatica (eufemismo) a partire. C’è voluto l’assessore Alvaro Ricci per dargli il via, non appena insediato ai Lavori pubblici. E adesso il primo intervento è praticamente finito, altri verranno completati nei prossimi mesi, prima di aprire nuovi cantieri in altre zone di questo laccio di pietra che da secoli avvolge la città.

Siamo a viale Raniero Capocci, tra il monastero di Santa Rosa e il complesso di San Simone. Qui le transenne e le impalcature hanno le ore contate. Ieri mattina il sopralluogo del funzionario per i Beni architettonici e paesaggistici per la provincia di Viterbo l’architetto Tiziana Farina, accompagnata sui cantieri della direttrice dei lavori, l’architetto Alessandra Bianchi, dal responsabile del consorzio Ca. re. ca. (che i lavori li ha svolti) e da vari tecnici è stato un passaggio formale, per certificare che almeno questo tratto di duemila metri quadrati, può essere archiviato con un successo. ‘’In realtà – spiega l’architetto Bianchi – i contatti con la Soprintendenza sono stati continui, quasi quotidiani, visto che si parla di un intervento di restauro, che necessita di aggiornamenti e di confronti continui’’. Anche l’amministrazione comunale, a partire da Ricci, rivendicano lo stretto rapporto con la Soprintendenza, che pure è rimasta soddisfatta da questo modo di affrontare l’opera.

Tutto è partito lo scorso luglio: sono state ripristinate le antiche malte preesistenti, messe in sicurezze, consolidate e valorizzate le mura, si è protetta persino la sommità della cinta, quei bauletti che, coperti di cocciopesto, evitano le infiltrazioni dell’acqua piovana, uno stillicidio che alla lunga può mettere a repentaglio ancora la tenuta della struttura. Perché già i latini avvertivano: gutta cavat lapidem, la goccia scava la roccia.

Fuori San Simeone, affacciato su un traffico che non si ferma mai, resiste ancora il ponteggio. Ma è in via di smantellamento: ‘’Questione di giorni’’, assicurano dal Comune. Dentro la porta, oltre il cancello dal quale passano autoambulanze e automediche, le impalcature sono già state tolte. E le mura restaurate si lasciano guardare in tutto il loro candore: già, perché il colore della pietra è tornato chiaro, non ancora insozzato dallo smog e dal trascorrere del secoli. Qui i quindici operai hanno agito punto per punto, con un lavoro artigianale che – fatte le debite proporzioni – rende onore agli antichi costruttori che queste mura le eressero, e quei carpentieri che ci lavorarono.

Più oltre, ecco un’antica torre, conquistata da una pianta selvatica di fico. Per essa, come per altri scorci delle mura, potrebbero essere in serbo altre novità, altri progetti. Ma ora è il momento di proseguire, in questo cantiere mobile che vedrà completare il tratto di porta della Verità, e poi ancora prima di Porta Romana, per poi scendere verso Valle Faul, dove altri segmenti attendono di essere riletti nel loro valore di antico documento (visto che di documento si tratta, documento lapideo). Perché se una volta erano le mura a difendere Viterbo e i viterbesi, oggi deve essere esattamente il contrario, un po’ per riconoscenza, un po’ per dovere civico e un po’ perché rappresentano una meraviglia senza tempo.






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