ANNO 14 n° 117
Caso Manca, ''Serve una magistratura che non pieghi le ginocchia''
Ingroia torna a parlare dell'urologo: ''Verità scomode che non aiutano la carriera''
30/08/2017 - 12:52

VITERBO – ''Attilio Manca, un caso scomodo. Certificare la verità in un’aula giudiziaria non aiuterebbe certo a fare carriera e anzi porterebbe solo rogne. C’è bisogno di una magistratura che non pieghi le ginocchia''. Antonio Ingroia, ex magistrato della Procura di Palermo ora avvocato di parte civile dei familiari dell’urologo, torna a parlare del caso della morte di Attilio su Il Fatto Quotidiano.

Quello di Ingroia è un appello all’intera magistratura italiana affinché, riaprendo il caso Manca, dimostri di essere coraggiosa e sana. Non si riferisce direttamente alla procura di Viterbo, che si è occupata delle indagini sulla morte dell’urologo chiudendo il caso come un decesso per overdose, ma alle parole dell’avvocato quando afferma che “la magistratura ama il quieto vivere e una carriera garantita evitando soluzioni pericolose'', il pensiero dei lettori corre subito a ciò che è successo nelle aule del tribunale della Tuscia.

''C’è bisogno di una magistratura che non pieghi le ginocchia, perché le prove che non fu una tragedia di droga ci sono tutte – scrive su Il Fatto Quotidiano -. Tutti elementi incredibilmente ignorati, tra manomissioni di prove, omissioni investigative, depistaggi, insabbiamenti, palesi incongruenze ed 'errori enormi' nell’inchiesta, come li ha definiti la presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi. Ma perché non si vuole la verità? Perché è una verità troppo scomoda''.

''Un omicidio di mafia e di Stato legato a doppio filo alla latitanza di Provenzano e in particolare all’intervento chirurgico alla prostata cui il boss si sottopose a Marsiglia nell’autunno 2003 – aggiunge -. Un omicidio da inquadrare nell’ambito della tragica trattativa Stato-mafia: Manca ucciso perché diventato testimone di un pezzo del mosaico dell’indicibile accordo fra mafia e Stato, responsabili della copertura di Provenzano. Ma certificare questa verità in un’aula giudiziaria non aiuterebbe certo a fare carriera e anzi porterebbe solo rogne. Meglio evitare''.

L’ipotesi di omicidio di mafia è la prima e l’unica che da sempre la famiglia di Attilio porta avanti. Una battaglia che non si ferma nemmeno dopo la recente sentenza del giudice viterbese Silvia Mattei che ha decretato la chiusura dell’inchiesta come un caso di overdose condannando a 5 anni e 4 mesi Monica Mileti, ritenuta responsabile di aver ceduto la dose letale al giovane medico. Attilio è stato trovato morto nella sua casa a Viterbo il 12 febbraio del 2004 con il volto tumefatto, il setto nasale deviato e due buchi nel braccio sinistro. Lui era mancino, quindi si sarebbe dovuto somministrare la droga nel braccio destro, un particolare questo che ha subito fatto insospettire. Oltre alle tante testimonianze di colleghi e pentiti di mafia e varie prove che Ingroia definisce ''inequivocabili''.

''La famiglia Manca però non si arrende – conclude l’ex magistrato - . L’appello è ora alla Procura nazionale antimafia perché si occupi del caso, ai magistrati romani perché non archivino l’indagine aperta, alla procura generale di Roma perché appelli la sentenza di Viterbo''.





Facebook Twitter Rss