ANNO 14 n° 117
''Attentati, l'Italia non č a rischio zero''
Convention del Centro studi Aldo Moro sulla sicurezza
24/09/2016 - 11:03

di Nicola Savino

VITERBO - Prima fondamentale informazione (politicamente scorretta, ma necessaria): in Italia il rischio zero in tema di attentati terroristici non esiste. Vale per il nostro Paese, ma vale (come hanno drammaticamente provato sulla loro pelle francesi, belgi e tanti altri) in ogni altra civiltà occidentale e non solo. Dalla mattinata organizzata dal Centro studi Aldo Moro e dedicata proprio ai temi della sicurezza, arriva proprio questa conferma da parte di chi, ogni giorno, è in prima linea nel contrasto alle attività criminali internazionali che prima avevano il marchio di Al Qaeda e oggi quello, non meno efferato, dell'Isis e del sedicente stato islamico.

Il capo della Polizia Franco Gabrielli, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti, il sottosegretario con delega ai servizi segreti Marco Minniti ne parlano all'Hotel Salus Terme. Padrone di casa l'onorevole Giuseppe Fioroni che ha organizzato la convention affrontando in rapida sequenza tre temi di pregnante attualità: il Distretto turistico e culturale dell'Etruria meridionale (e quindi lo sviluppo di Viterbo e della Tuscia), le riforme costituzionali (e dunque il referendum confermativo ormai alle porte) e appunto, last but not least, la questione sicurezza, intimamente connessa a quell'accoglienza.

Se, dunque, sia pure con accenti diversi tutti i relatori individuano nell'assenza di rischio il primo fondamentale aspetto, che cosa bisogna fare per difenderci? La risposta, anche questa unanime, è che non dobbiamo assolutamente cambiare il nostro stile di vita e le nostre abitudini perché questa sarebbe la sconfitta più grave. ''Lo dicevo a mio figlio - sottolinea Gabrielli - che mi chiedeva all'indomani degli ultimi attentati se non sarebbe stato più il caso di prendere la metropolitana o di andare al pub: assolutamente no. Dobbiamo continuare a vivere come abbiamo sempre fatto''. La seconda risposta è che siamo in buone mani. ''Il nostro sistema di sicurezza è eccellente'', sintetizza il senatore Minniti. ''Le capacità italiane - aggiunge Roberti - di organizzazione, di condivisione delle informazioni, di attenzione anche sui minimi particolari viene invidiata in tutto il mondo''. ''Siamo all'interno di una minaccia - aggiunge ancora il capo della Polizia - e un prezzo lo andremo a pagare. Ciò che non è accaduto finora, non può essere garanzia di immunità in futuro. Parliamoci chiaro: gli attentati a Charlie Hebdo e Bataclan a Parigi, i fatti di Bruxelles e di Nizza hanno provocato 270 morti. Bilancio pesantissimo e inaccettabile, ma nello stesso periodo in Italia abbiamo registrato 3400 vittime per incidenti stradali. Qualcuno di noi ha mai pensato di non usare più l'auto e di non attraversare più la strada?''. La conclusione è semplice: bisogna continuare a vivere secondo i nostri valori e la nostra civiltà. ''Alla fine vinceremo noi - scandisce Gabrielli -. Sarà una guerra lunga e difficile, ma ce la faremo come abbiamo saputo fare con il terrorismo negli anni Ottanta''.

D'accordo, ma come si concretizza tutto questo? Risponde il senatore Minniti: ''Su questi temi non ci si può dividere. La sicurezza nazionale e la lotta al terrorismo sono patrimonio di tutti e non possono essere terreno di confronto politico. Il tema della paura non può e non deve essere utilizzato per lucrare qualche piccolo beneficio elettorale''. E la questione si interseca naturalmente con quella inerente le politiche dell'accoglienza e dell'integrazione. ''Non avrei mai immaginato - incalza Fioroni - sindaci anche di centrosinistra e presidente della Provincia che fanno barricate contro l'arrivo di 30-40 migranti. Esiste ed è doverosa l'accoglienza che può e deve essere sicura''. Il tema solletica la pancia e Minniti non si sottrae con un ragionamento ad ampio raggio: ''L'Islamic State considera suo obiettivo primario la creazione di un califfato mondiale. Quindi con questa gente non si tratta e non si patteggia. Questa gente va semplicemente combattuta. Loro vogliono impaurire l'opinione pubblica che considerano un elemento di fragilità: una democrazia impaurita è più fragile e più debole. Nell'assalto di Dacca in cui morirono 9 italiani, compresa una viterbese, il locale era circondato dalle forze di sicurezza ma quelle belve non pensavano mica a fuggire e a mettersi in salvo: postavano le foto del massacro sul web. Perché il loro perfido ragionamento è: se non posso colpire dappertutto, almeno diffondo il terrore in tutto il mondo. E' una sfida terribile alla quale si risponde con le armi della democrazia: non esistono scorciatoie o subordinate o eccezioni. Siamo e rimarremo quel che siamo. Percorso accidentato e lungo, ma alla fine ce la faremo''. ''La nostra forza - interviene Roberti - è il coordinamento tra le varie istituzioni coinvolte che si scambiano costantemente e in tempo reale ogni informazione disponibile. La capacità di captare segnali anche apparentemente fragili è l'arma più potente per prevenire e intervenire''.

Resta il tema più scottante: possono andare d'accordo accoglienza e sicurezza? ''Solidarietà e sicurezza - ancora Minniti - sono facce della stessa medaglia: va trovato e ben calibrato il giusto mix. Ma non può essere un problema solo italiano. Ecco perché va considerato deludente l'esito di un recentissimo summit europeo nel quale non si parla di Libia o di Africa. Gli attentatori di Parigi o di Bruxelles non erano arrivati con i barconi o i gommoni: era gente che viveva lì da anni. Se non si capisce questo, saremo lontani da una soluzione''. Gabrielli è uomo pratico e non la manda a dire: ''Sia chiaro: non possiamo accogliere tutti. Solo il 5% dei migranti ha diritto allo status di rifugiato politico; un altro 20% arriva per ragioni umanitarie e il resto, la stragrande maggioranza, viene qui per ragioni economiche. Cerca insomma un lavoro e condizioni di vita migliori. Ma non c'è spazio per tutti. Risolveremo i problemi dell'accoglienza preservando la nostra identità''. ''La partita dei migranti - conclude il sottosegretario Minniti - si gioca sì in Italia, ma in tutta Europa e in Africa. Solo con un approccio globale se ne potrà venire a capo''.

Non con i muri marittimi o terrestri, ma con politiche serie di integrazione e di confronto. Chi non lo vuol capire, magari prenderà qualche voto in più ma non risolverà certamente il problema.






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