ANNO 14 n° 117
Peperino&Co.
Castro, città scomparsa
della Maremma laziale
>>>> di Andrea Bentivegna <<<<<
13/06/2015 - 00:00

di Andrea Bentivegna

VITERBO - Il mito di Vulci, come abbiamo visto, sopravvive oggi alla sua distruzione. Eppure, a pochi chilometri di distanza, sempre nel cuore della Maremma, i visitatori più curiosi e intraprendenti, se attratti da qualcosa di altrettanto insolito, possono addentrarsi nella Selva del Lamone.

Qui camminando attraverso l’impenetrabile vegetazione, che fu covo di briganti leggendari come Tiburzi, si giunge, d’un tratto, di fronte a delle rovine suggestive ormai quasi invisibili. E' questo ciò che resta di un’altra gloriosa città scomparsa: Castro.

La storia di Castro, sebbene più vicina ai nostri giorni, non ha nulla da invidiare a quella di tanti luoghi scomparsi dell’antichità.

Sorta in epoca medioevale, non lontana dalle odierne Ischia e Farnese, questa città, il cui nome riecheggia ancora in numerosi toponimi, fu per gran parte della sua storia un anonimo borgo del vasto Stato Pontificio finché la famiglia Farnese, originaria di queste terre, non divenne uno dei casati più potenti d’Europa.

Nel 1527,infatti, mentre Roma era devastata da Lanzichenecchi, Papa Clemente VII si mise in salvo scappando a Orvieto e qui venne a sapere che da qualche mese, il piccolo e fino ad allora sconosciuto borgo di Castro si era ribellato al suo controllo grazie all’ appoggio del giovane Pier Luigi Farnese. Il pontefice, irritato, chiamò immediatamente Gian Galeazzo Farnese, cugino dell’insorto, perché prontamente riconducesse il feudo sotto il controllo papale, cosa che avvenne e che fu seguita da una punizione esemplare per i ribelli e per il borgo stesso.

Non molti anni più tardi tuttavia, nel 1534, il cardinale Alessandro Farnese viene eletto Papa con il nome di Paolo III e decise così di trasformare Castro, che a quel tempo ancora mostrava i segni della distruzione inflitta da Clemente VII, in un piccolo capolavoro dell’architettura rinascimentale. Fu incaricato del progetto addirittura Antonio da Sangallo il Giovane, grande architetto del tempo, che progettò delle nuove mura difensive, palazzi pubblici, piazze, case: tutto venne ricostruito seguendo un nuovo progetto per fare del piccolo borgo un prototipo di città rinascimentale.

Castro conobbe un periodo di florida e sorprendente ricchezza che sfortunatamente non durò a lungo.

La crescita rapidissima e il mal governo negli anni successivi, specialmente con Ranuccio Farnese, produssero enormi debiti che la impoverirono arrestandone lo sviluppo.

Nel 1649, poco più di un secolo dopo il culmine del suo prestigio, Castro verrà letteralmente rasa al suolo e i suoi abitanti deportati per mano di un altro Papa, Innocenzo X Pamphili, che ordinò la distruzione pare su insistenza della cognata, la famigerata viterbese Olimpia Maidalchini, che bramava di infliggere agli odiati Farnese una lezione esemplare.

Così dopo un assedio e una battaglia Castro venne distrutta e cancellata dalle carte geografiche, e in pochi anni il costone tufaceo sul quale la città sorgeva, fu inghiottito dai boschi che ancora oggi nascondono le rovine di uno dei capolavori del rinascimento dalla nostra terra.





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