ANNO 14 n° 108
Viterbo piange ''Deddo''
Massimiliano Greto si č spento questa mattina a causa di un malore
mentre era in bici. Lascia la moglie Giovanna e i figli Camilla e Leonardo
13/08/2017 - 20:36

VITERBO - Si è spento questa mattina, all'età di 52 anni, Massimiliano Greto. Viterbese, grande sportivo, sia a piedi che su due ruote, ''Deddo'', come era soprannominato, lavorava al negozio di scarpe Manhattan. Se ne è andato a causa di un malore, durante una delle sue solite uscite domenicali in sella alla sua bici.

La tragedia è avvenuta verso le 9 lungo la strada Commenda, quando a dare l'allarme sono stati alcuni passanti che hanno visto la bicicletta per terra e lui accasciato al suolo. Immediata la chiamata al 118. Per l'uomo, purtroppo, non c'è stato nulla da fare. Se ne è andato poco dopo l'arrivo dei soccorsi. Sul posto anche i militari dell'Arma per i rilievi di rito.

Massimiliano Greto lascia la moglie Giovanna, i figli Camilla e Leonardo e i tanti amici e compagni di sport che lo hanno conosciuto e apprezzato, durante gli allenamenti, nelle gare e nella vita. Su Facebook, in queste ore, la bacheca di Massimiliano è diventata un muro pieno di ricordi e di messaggi di affetto per i familiari.

Tra tutti, commovente il ricordo dell'amico Bruno Pagnanelli, che qui riportiamo integralmente.

Lo scrivo qui, perché non so dove scriverlo.

Oggi mi hai lasciato senza parole Massimilià, e già questo è tutto dire. Che poi, chiamarti Massimiliano neanche suona bene come dovrebbe.

Deddo, suona meglio. D'altronde ti conosciamo tutti come Deddo.

Questo sei stato e questo sempre sarai.

Come quando ti chiamavamo dal muretto, a Piazza Vittorio Veneto, con quella 'E' che doveva essere allungata come a dire: il nome è corto ma sottende qualcosa di molto più importante. E quel nome era sempre accompagnato da un sorriso. Il tuo.

Siamo cresciuti insieme, in quel limbo di pubertà ritardata, alla ricerca della maturità e della responsabilità che non venivano mai e che noi avevamo pensato bene di non aggregare, in un vicolo di questa città, cercando di crescere fra di noi, senza la fretta di oggi e senza i consigli dei grandi.

E già allora eri una regola, fra gente senza regole, con quella tua testardaggine, per non chiamarla “tigna” come dicono qui, con quella tua precisione, severo con gli altri come con te stesso. Uno del “vicolo” come ci chiamavamo, fra tempeste d’ormoni e cuori che diventano grandi.

Lo stesso cuore che oggi ti ha mollato.

Ho letto, ho pensato fosse uno scherzo. Poi mi sono vestito e ho chiamato il primo amico che mi è venuto in mente. E ahimè, chi mi è venuto in mente me lo ha confermato, con il cuore in gola. Ho urlato il tuo nome, perché ti volevo rispondere prima e non l’ho fatto. Volevo raccontarti la mia stima sotto ad un tuo pensiero. Un pensiero in un pensiero. E invece sei volato via prima. Ti volevo lasciare qualcosa. Qualcosa su cui ragionare, riferito alla bellezza che cercavi.

E così ho deciso che ti dovevo salutare.

Si, Deddo, ti sono venuto a salutare, io che ho un pessimo rapporto con la morte, mi sono fatto coraggio. Perché credo che i giusti meritino rispetto e onore da chi rimane. Perché le tue 'manie' erano sinonimo di valori, di rispetto per la natura e di insegnamento per la famiglia. Rispetto e onore. Li meritavi. Li meriti. Perché vederti era gioia pura, osservarti in cima, in quello spazio blu, rincorrendo la cima era, per me, ammirazione pura.

Non tanto per il risultato, non tanto per la prestazione ma per la dedizione, per il fatto che con quei valori ci hai cresciuto i tuoi figli, ci hai ''ammaliato'' tua moglie, per il fatto che ti hanno seguito e che hanno avuto un esempio da ammirare, da emulare. Sono sicuro.

Loro ti verranno a cercare su quelle montagne. Sono sicuro. Fra poco lo capiranno. Sarai lì ad aspettarli, ad incitarli, a raccontargli la bellezza intorno. Lì, in cima. Ti ho ammirato, spesso, te l’ho scritto, poco. Te l’ho detto, a voce, quando il caso ci faceva incontrare. Perché era un po' che ce lo dicevamo: io ti raccontavo cose e tu me le facevi vedere in foto. Io te le facevo vedere in foto e tu, cazzo, mi ci andavi a piedi. Ero sempre io a rincorrere la tua immensa energia.

 E così parlavamo dei grandi sistemi, dello spazio e del cielo che si vede dall'alto, delle nuvole che sembrano più grandi e delle montagne, di madre natura, quella Pochamama che era nei tuoi occhi quando arrivavi in cima alla meraviglia. Era lì e tu la toccavi, la vedevi, immensa. La madre di tutto. Anche se oggi, la stessa Pochamama, chissà per quali calcoli, ha deciso che il tuo giorno era arrivato.

Ti sono venuto a salutare Deddo. Ti ho visto sotto quel sottile tessuto trasparente. Preciso, pulito, composto. Giovanna a fianco che ti coccolava per l’ultima volta. Te lo scrivo qui, lo ripeto, perché non so dove farlo. Non avrò mai il coraggio di dirtelo a voce. Ti auguro buon viaggio amico mio. Sono sicuro che troverai montagne immense da scalare, salite infinite e discese spericolate, sono sicuro correrai ancora, sempre più forte, sempre più libero. Perché per me, Deddo, eri questo. La libertà!

La salma, dopo la tragedia, è stata riconsegnata ai familiari per le esequie. Non è stato necessario disporre l'esame autoptico sul corpo. I funerali, probabilmente, nella giornata di domani.






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