ANNO 14 n° 110
Via il segreto di Stato dalla pił grande strage italiana giudicata a Viterbo
01/05/2017 - 07:24

VITERBO – 1 maggio 1947. Dopo le barbarie della seconda guerra mondiale, ormai lasciate alle spalle, si torna a festeggiare la giornata dei lavoratori. Siamo nelle campagne del palermitano, precisamente a Portella della Ginestra: migliaia e migliaia gli operai e i braccianti che si riversano nella vallata disegnata dai monti Kumeta, Maja e Pevalet. Una giornata di festa e di protesta contro il latifondo a favore dell'occupazione delle terre incolte, che ben presto si trasforma nello scenario del più grande eccidio della storia dell'Italia repubblicana.

Improvvisamente, dalla cima del monte Pevalet, una raffica di colpi di mitra, che per circa quindici minuti, impazzano sulla folla. Il bilancio è pesantissimo: undici morti, una trentina di feriti, alcuni in condizioni disperate. A rispondere di quella strage, la banda del criminale Salvatore Giuliano, braccio armato del movimento indipendentista siciliano. Il processo a suo carico inizia a Palermo, ma per paura che i giudici potessero essere condizionati dall'ambiente mafioso e criminale circostante, viene spostato a Viterbo.

Ed è qui che la Corte d'Assise condanna Giuliano nel 1953, ma ormai è troppo tardi: il bandito è stato ucciso tre anni prima.

Ciononostante, per il 70esimo anniversario della strage, la verità sembra essere ancora lontana: secondo quanto emerso in anni di indagini, Giuliano sarebbe stato solamente l'esecutore materiale del massacro, non certo il vero responsabile. Dietro a Portella della Ginestra ci sarebbe un intreccio tra mafia, criminalità comune, politica, forze pubbliche e influenza internazionali, che ''spingevano alla conservazione di certi poteri nei quali la malavita affonda le sue radici''. Sottolinea il presidente del Senato Pietro Grasso, al convegno in memoria della strage. E prosegue: ''Portella della Ginestra è stata una strage politica, un atto eversivo non per sovvertire l’assetto politico, ma per consolidare quello esistente e fermare il cambiamento politico e l’avanzamento sociale e dei diritti''.

Ed ecco allora che è proprio la seconda carica politica del paese a chiedere che sia fatta luce sull'intera vicenda: via il segreto di stato, fuori tutti i documenti.

Oltre quelli depositati a Viterbo, infatti, ce ne potrebbero essere altri. ''Vanno ricercati e resi pubblici. Bisogna far sì che chi sa di avere, spontaneamente metta a disposizione della conoscenza tutti questi atti, tutto deve essere fatto con la piena collaborazione, e rispondendo alle direttive che ci sono. Abbiamo il dovere di ricordare, di fare memoria''.






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