ANNO 14 n° 109
Un'altra verità nel giorno del giudizio
Dalle risultanze processuali emerge un dettaglio che mette in dubbio
la presenza di Tatiana Ceoban sul pullman di ritorno da Viterbo verso Gradoli
15/11/2013 - 04:01

di Alessia Serangeli

VITERBO – Ciak, si gira l’ultimo capitolo del “Giallo di Gradoli”, il romanzo di storia vera più seguito, intricato e discusso delle cronache viterbesi di tutti i tempi. Quello più sviscerato in redazioni di giornale, aule di tribunale e persino in qualche trasmissione televisiva. Quello per cui si sono scomodati professionisti di legge, periti di grido, carabinieri del reparto investigazioni scientifiche (mai visti nel Viterbese prima di quella caldissima estate 2011), consulenti esoterici, persino, in cerca di visibilità.

La storia degli amanti diabolici, Paolo Esposito e la cognata Ala Ceoban, e del loro presunto disegno criminoso ordito per eliminare Tatiana Ceoban e la figlia Elena ha appassionato e diviso tra innocentisti e colpevolisti per mesi. Anzi di più: quattro anni e mezzo dopo, con un verdetto d’appello che, almeno in parte, ha ribaltato la sentenza di primo grado, il pubblico-spettatore rimane con le proprie convinzioni, come se non ci fossero mai stati indagini, sopralluoghi, scoperte (più o meno eclatanti) e due gradi di giudizio già archiviati. Chi credeva che Paolo Esposito fosse innocente lo crede ancora oggi, a dispetto del quadro probatorio (più o meno solido); chi pensava che fosse colpevole lo pensa tuttora, nonostante qualche lacuna nel castello accusatorio. Alcune evidenti, di cui si è lungamente dibattuto durante il processo in Corte d’assise, e altre invece no. C’è una circostanza, in particolare, che emerge anche piuttosto chiaramente dalle risultanze processuali e che, forse, non è stata presa abbastanza in considerazione.

L’ultima immagine di Tatiana è presa dalle telecamere dell’Unieuro di via Garbini, dove si era recata per acquistare la famosa telecamera. Erano le 14 circa. Le 17,36 è invece l’orario in cui, in fase di indagini e durante il processo, è fissata la telefonata tra la moldava 36enne e la figlia. “Lei è sul pullman di ritorno verso casa, emerge dalle risultanze investigative: il suo telefono aggancia la cella di Capodimonte”. Ne siamo proprio sicuri?

In realtà sulla questione celle e tabulati telefonici l’avvocato Enrico Valentini ha sempre storto il naso e anche il collega Mario Rosati, in più di un’occasione, aveva manifestato il sospetto che Tania non fosse mai salita su quel pullman e fosse invece stata riaccompagnata a Cannicelle (da Viterbo) da qualcuno. Dopo due sentenze e quattro condanne potrebbe scoprirsi che, magari chissà, è proprio così.

A ben guardare l’istogramma “Distribuzione traffico Capodimonte Cella 43461” si nota che tra i 5.500 metri e gli oltre 9.350 non è stata registrata alcuna telefonata. Ora, essendo proprio il tratto di strada in cui il segnale poteva agganciare la cella di Capodimonte a una distanza compresa tra gli 8 e i 9mila metri (come evidenziato sulla mappa), è legittimo ipotizzare che Tania potrebbe non essere mai salita veramente su quell’autobus. Una bazzecola? Può essere, lo è sicuramente, ma potrebbe anche aprire uno squarcio nelle fondamenta del castello accusatorio e far crollare tutta la ricostruzione cronologica di quel sabato 30 maggio 2009 e, con essa, quella della dinamica del duplice delitto. Se Tatiana fosse davvero stata riaccompagnata a Gradoli da qualcuno, chi era questo qualcuno? Chi le aveva offerto un passaggio? Era una persona che conosceva? Con cui si era già messa d'accordo? Non possiamo saperlo ma, forse, la circostanza avrebbe meritato di essere presa in maggiore considerazione prima del gran giorno. Oggi, il giorno della verità.

Alle 9 di questa mattina Paolo Esposito comparirà davanti ai giudici della Corte di Cassazione e, probabilmente in giornata, conoscerà il suo destino. Saprà, finalmente, se dovrà restare in carcere per il resto dei suoi giorni oppure no.





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