ANNO 14 n° 88
Ulderico Pesce conclude la stagione al teatro Boni
Sabato 11 aprile ad Acquapendente ''moro. I 55 giorni che cambiarono l'Italia''
10/04/2015 - 11:24

ACQUAPENDENTE - Ultimo appuntamento con la stagione 2014-15 del Teatro Boni di Acquapendente, diretta da Sandro Nardi. Sabato 11 aprile alle ore 21 il Centro Mediterraneao delle Arti presenta 'moro. I 55 giorni che cambiarono l'Italia', scritto da Ulderico Pesce e Ferdinando Imposimato, interpretato e diretto da Ulderico Pesce con interventi in video del giudice Imposimato.

“Non l’hanno ucciso le Brigate Rosse, Moro e i ragazzi della scorta furono uccisi dallo Stato.” Questa frase è il fulcro dell’azione scenica ed è documentata dalle indagini del giudice Imposimato, titolare dei primi processi sul caso Aldo Moro, che nello spettacolo compare in video interagendo con il protagonista. Il titolo dello spettacolo è “moro” con la “m” minuscola a voler sottolineare che nel cognome del grande statista c’è la radice del verbo “morire”. Come se la “morte” di “Moro” fosse necessaria per bloccare energie politiche alternative a quelle in auge e per lasciare spazio alle carriere di alcuni suoi colleghi. Moro sente che “altri” vogliono la sua morte e lo scrive in una delle ultime lettere che fanno da leit-motiv dello spettacolo: “Il mio sangue ricadrà su di voi, sul partito, sul Paese. Chiedo che ai miei funerali non partecipino né autorità dello Stato, né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno voluto veramente bene e sono degni di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore”.

Il racconto scenico parte dai fatti del 16 marzo 1978 quando fu rapito Aldo Moro e furono uccisi gli uomini della scorta: Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Oreste Leonardi. Raffaele Iozzino, unico membro della scorta che prima di morire riuscì a sparare due colpi di pistola contro i terroristi, era di Casola di Napoli e proveniva da una famiglia di contadini. Raffaele, alla Cresima, aveva avuto in regalo dal fratello Ciro un orologio con il cinturino in metallo. Ciro, quella mattina del 16 marzo era a casa e casualmente in televisione vide l’immagine di un lenzuolo bianco che copriva un corpo morto. Spuntava da sotto al lenzuolo soltanto il braccio con l’orologio della Cresima. Questa è l’immagine emblematica che ricorre più volte nelle video proiezioni, questa immagine è la radice prima del dolore di Ciro, protagonista dello spettacolo. Questo dolore diventa rabbia, e questa rabbia lo spinge a rintracciare il giudice Imposimato titolare del processo al quale chiede di sapere la verità. Sarà il rapporto tra Ciro e il giudice, strutturato su questo forte desiderio di verità, a rendere chiaro al pubblico che ad uccidere Moro e i giovani membri della scorta furono i più alti esponenti dello Stato italiano con la collaborazione dei servizi segreti americani.

“Un altro spettacolo su Moro? Non se ne può più, direte. Avete ragione - spiega Ulderico Pesce - Più che di spettacoli sul caso Moro c’è la necessità di sapere la verità sulla sua morte. Questo nostro lavoro vuole prima di tutto contribuire alla scoperta della verità e alla sua divulgazione. E’ un po' altezzoso il fine ma le recenti scoperte e rivelazioni del giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi sul caso Moro, vanno verso la costruzione di una chiara verità: Moro doveva morire”.






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