ANNO 14 n° 114
Trentamila stranieri
nella provincia
In aumento dello 0,2% rispetto al 2015 secondo il Dossier immigrazione
28/10/2016 - 06:57

VITERBO – (a.v.) Sono 30.090 gli stranieri presenti sul territorio della provincia di Viterbo, il 5% di tutti quelli presenti nel Lazio, con un aumento minimo dello 0,2% rispetto all’anno precedente.

È quanto emerge dal ''Dossier statistico immigrazione 2016'', a cura del centro studi e ricerche Idos, presentato ieri a Roma.

Una presenza, quella degli stranieri nel Viterbese, che si mantiene in linea con i livelli di crescita della media nazionale, al contrario di quello che accade nel resto delle regione, dove gli aumenti nelle altre province sono stati molto più significativi, con il +1% di Roma (529.398), Rieti (13.277) e Frosinone (24.164) e ben il +5,4% della provincia di Latina (48.230).

Un aumento questo nel Pontino, dovuto principalmente al maggiore impatto del settore agricolo nell’economia locale, con gli stranieri in cerca di un’occupazione attirati dalla possibilità di un lavoro nei campi.

La Regione Lazio, comunque, con i suoi 645.159 immigrati residenti, si conferma metà privilegiata di immigrazione, a differenza di quanto accade nel resto d’Italia, dove in 55 province si è registrata una diminuzione del numero di stranieri residenti. Una popolazione non locale aumentata del 65% in tutta la regione rispetto al 2007, l’anno precedente alla crisi economica.

La capitale d’Italia, con 361.181 residenti stranieri batte nettamente la concorrente Milano, ferma a 254.522, confermando un’attrattiva storica iniziata negli anni ‘70 del secolo scorso.

Significativa nel Lazio, da quanto emerge dal rapporto, la diminuzione delle donne straniere. Un calo femminile, dovuto principalmente alla diminuzione di posti di lavoro all’interno dell’assistenza domestica a causa della crisi economica.

È cambiata anche la provenienza degli occupati nati fuori dai confini nazionali: gli europei continuano a essere la maggioranza (6 su 10), ma in seconda posizione troviamo gli asiatici (2 su 10) che superano i lavoratori africani e quelli provenienti dalle Americhe.






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