ANNO 14 n° 110
Studiare la biodiversitą per predire il cambiamento climatico
La ricerca del Deb, Unitus
14/03/2018 - 09:27

VITERBO - Studiare la biodiversità di una delle zone più inospitali delle terra per predire il cambiamento climatico. Il progetto della professoressa Selbmann dell’Università della Tuscia è l’unico italiano ad aver superato le selezioni del Dipartimento di Energia degli Stati Uniti.

Si chiama ''Metagenomic Reconstruction of Endolithic Communities from Victoria Land, Antarctica'' ed è l’unico progetto italiano che, tra migliaia, è stato finanziato dopo aver superato le severissime selezioni annuali del Department of Energy Joint Genome Institute (Doe Jgi) ovvero il Dipartimento di Energia degli Stati Uniti. Il progetto in questione porta la firma della professoressa Laura Selbmann, docente di Botanica e di Micologia e Filogenesi presso il Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche (Deb) dell’Università degli Studi della Tuscia. Una soddisfazione enorme per l’Ateneo di Viterbo che conferma la sua eccellenza nell’ambito della ricerca.

Il Doe Jgi è una struttura finanziata da fondi federali che si occupa di sequenziare e analizzare il DNA di microorganismi con lo scopo di comprendere i processi biologici che controllano l’accumulo di gas serra nell’atmosfera e chiarire i fattori chiave alla base del cambiamento climatico.

Il progetto della professoressa Selbmann, che sarà portato avanti in collaborazione con un gruppo di ricercatori dell’Università della California guidati dal professor Jason E. Stajich, si propone di studiare e caratterizzare la biodiversità microbica delle comunità endolitiche antartiche che dominano nelle aree desertiche, prive di ghiaccio, situate nella Terra Vittoria dell’Antartide continentale. Queste aree, tra cui le Valli Secche di McMurdo, rappresentano una delle regioni più inospitali sulla Terra, al punto da essere considerate l’analogo terrestre per l’ambiente marziano. L’unica possibilità di sopravvivenza per questi microrganismi fortemente adattati è quella di trovare rifugio all’interno del substrato roccioso. A oggi, molto poco si conosce di queste comunità microbiche: la biodiversità che ospitano e gli adattamenti - a livello di singolo organismo o di comunità - che consentono loro la sopravvivenza in condizioni ritenute, fino a pochi decenni fa, incompatibili con la vita. Inoltre, molte di queste aree sono altamente protette e l’accesso è consentito solo dietro speciali e motivati permessi. Il che significa che solo pochi gruppi di ricerca al mondo riescono a disporre di questi campioni da studiare. Le rocce che verranno studiate sono state raccolte nell’ambito di progetti finanziati dal Programma Nazionale per le Ricerche in Antartide (Pnra) e sono conservate presso la sezione tematica di micologia del Museo Nazionale dell’Antartide (Mna), che ha sede presso il Deb, Università degli Studi della Tuscia.

Il progetto della professoressa Selbmann si propone di sequenziare per la prima volta gli interi genomi di tutti i microrganismi che compongono queste comunità: questo consentirà di capire i meccanismi di adattamento alla pressione ambientale e predire le possibili conseguenze del cambiamento climatico su questi ecosistemi così fragili, in costante equilibro tra vita ed estinzione. Non solo: i risultati dello studio forniranno importanti informazioni sui limiti di abitabilità in ambienti terrestri e sulla possibilità di vita extraterrestre.






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