ANNO 14 n° 115
Stato-Mafia, l'avvocato
viterbese Romito
alla deposizione
del Capo dello Stato
29/10/2014 - 01:00

ROMA – C’era anche l’avvocato viterbese Francesco Romito ieri mattina alla deposizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel processo sulla presunta trattativa Stato-Mafia nei primi anni Novanta. Un’udienza storica che è durata circa tre ore e che si è svolta nella sala del Bronzino al Quirinale. La Corte, composta dal presidente Alfredo Montalto, dal giudice a latere Stefania Brambille e da otto giudici popolari, sei titolari e due supplenti, ha deciso di ammettere all'udienza solo gli avvocati di fiducia o i sostituti processuali delle sette parti civili e dei dieci imputati. E tra questi c’era anche Romito, difensore di Giuseppe De Dommo, l’ex ufficiale del Ros accusato insieme ai generali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, di minaccia e violenza al corpo politico dello Stato.

Un esame eccezionale con un testimone eccezionale, il capo dello Stato, mai avvenuto prima e che difficilmente verrà ripetuto. Non segreto ma a porte chiuse e soprattutto offlimits alla stampa, che non ha potuto assistere alla deposizione neppure attraverso la video registrazione.

''Il presidente ha risposto a tutto – ha detto l’avvocato Romito all’uscita del Quirinale – e ci ha tenuto a precisare che era qui per contribuire ad accertare la verità''.

Lo conferma anche una nota del Quirinale diffusa poco dopo la fine dell’udienza: ''Il Presidente della Repubblica, che aveva dato la sua disponibilità a testimoniare, ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali né obiezioni riguardo alla stretta pertinenza ai capitoli di prova ammessi dalla Corte stessa - fa sapere una nota del Quirinale. La Presidenza della Repubblica – continua il comunicato del Colle - auspica che la Cancelleria della Corte assicuri al più presto la trascrizione della registrazione per l’acquisizione agli atti del processo, affinché sia possibile dare tempestivamente notizia agli organi di informazione e all’opinione pubblica delle domande rivolte al teste e delle risposte rese dal Capo dello Stato con la massima trasparenza e serenità''.

Solo in alcuni casi Napolitano si è avvalso della facoltà di non rispondere in base alle prerogative del Capo dello Stato. 'La parola 'trattativa' non è mai stata usata. Nel corso della deposizione Napolitano ha riferito che, al'epoca, non aveva mai saputo di accordi tra apparati dello Stato e Cosa nostra per fermare le stragi.

E per quanto riguarda uno dei nodi dell’udienza, ovvero raccogliere i ricordi del capo dello Stato su quel che gli scrisse, cinque settimane prima di morire improvvisamente, il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, nel giugno 2012, dopo essere stato sentito dai pm di Palermo, era stato interrogato circa le sue telefonate con Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza nel processo per la trattativa. Nella lettera a Napolitano, che è stata peraltro resa pubblica dal Quirinale, D’Ambrosio manifestava il suo timore di poter essere considerato ''utile scriba di indicibili accordi'' negli anni Novanta, quando come magistrato era in servizio prima all’antimafia e poi al Dap. Il ''vivo timore'' di essere usato come «utile scriba di indicibili accordi» tra l’89 e il ‘93 dell’ex consigliere giuridico di Giorgio Napolitano ''era una mera ipotesi priva di basi oggettive'' ha risposto il capo dello Stato.

Al termine dell’udienza il Presidente della Repubblica, riferisce sempre l’avvocato Romito ''ha tenuto a confermare che c'era un rapporto di collaborazione e di lavoro con Loris D’Ambrosio, oltre a quello non si andava''. E rispetto alla lettera inviata da D'Ambrosio a Napolitano ''abbiamo potuto capire che veniva ribadito come D'Ambrosio fosse esasperato dalla campagna massmediatica che lo aveva messo in cattiva luce nella sua figura di servitore dello Stato. Questo rattristava molto D'Ambrosio, che non credeva di poter meritare un trattamento tale. Il Presidente - ha concluso l'avvocato di De Donno - ha fatto riferimento a questo parlando anche di campagna che lo aveva ferito a morte''. 

veniva ribadito come D’Ambrosio fosse esasperato dal ritratto che i media gli attribuivano, lo rattristava molto e soprattutto diceva di non meritarlo''.






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