ANNO 14 n° 109
Rese sterile una paziente dopo un'inseminazione artificiale nel suo studio
Chiesta una superperizia
per il ginecologo
26/05/2018 - 03:14

VITERBO – Avrebbe compiuto un’inseminazione artificiale all’interno del suo studio medico privato, procurando alla propria paziente un’infezione talmente grave da renderla sterile.

Ma quella sepsi poteva essere evitata? C’erano delle precauzione da prendere per scongiurare il peggio? Accertamenti preliminari da svolgere sullo stato della paziente e sull’idoneità dell’ambulatorio? E ancora. Esiste di fatto un nesso di causalità tra l’intervento subito e la sterilità procurata alla donna? O non esiste alcun legame tra di essi?

Saranno la dottoressa Maria Rosaria Aromataria, il dottor Cesare Aragona e la dottoressa Maria Rosa Ciardi a trovare una risposta a tutte queste domande. E a far luce sulla triste vicenda che vede protagonista una giovane coppia viterbese.

Era il 17 marzo 2011, quando, dopo numerosi incontri con il proprio ginecologo, la donna decise di sottoporsi all’inseminazione artificiale: ''Andai allo studio del dottor L.S., intorno alle 10 – aveva spiegato davanti al giudice Silvia Mattei durante una delle scorse udienze – mi fece sdraiare sul lettino e, dopo aver prelevato del liquido seminale da mio marito, andò avanti con l’intervento. Non durò più di mezz’ora: sentivo dei forti dolori, persi tanto sangue, ma mi rassicurò.''.

Rassicurazioni che col passare dei giorni, lasciarono spazio alla paura. E ad una corsa disperata verso il pronto soccorso di Belcolle.

25 giorni di ricovero, poi le dimissioni durate 72 ore. Di nuovo all’ospedale di Belcolle e, infine, il trasferimento a Villa San Pietro, per la più dura delle verità: sottoposta ad asportazione della tuba e dell’ovaia destre, non può più avere figli.

Un pool di periti entro settembre dovrà depositare sulla scrivania del giudice le proprie conclusioni. Delle relazioni che di fatto andranno a pesare non poco nel processo a carico del ginecologo, che secondo quanto riferito da uno dei dirigenti medici della Asl, non avrebbe avuto neppure l’abilitazione. ''Non poteva esercitare al di fuori dell’azienda pubblica – aveva spiegato il dottor Zingali - all’interno del suo studio non stata ritrovata alcuna attestazione di libera professione''.






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