ANNO 14 n° 110
QdA, tra Shakespeare
e Joyce a palazzo Monaldeschi
18/10/2014 - 13:04

VITERBO - Quartieri dell’Arte raggiunge un luogo particolarmente suggestivo della Tuscia per il suo prossimo spettacolo: ‘Hamnet io sono lo spirito di tuo padre’. Un lavoro di Claudio Collovà, con la collaborazione di Ferdinando Vaselli, che indaga, attraverso Joyce il mistero della creazione dell’Amleto di Shakespeare e i rapporto familiari del Bardo. Una coproduzione tra QdA, il Centro Sperimentale di Cinematografia e le Orestiadi di Gibellina, in prima mondiale. In scena Miriam Galanti, Margherita Laterza, Angela Pepi, Barbara Petti, Marina Savino, Gianmarco Saurino e Nicolas Zappa. Regia di Claudio Collovà, assistente alla regia Maria Antonietta Trincucci. Costumi Anna Licausi.

Giovedì 23 ottobre una giornata da non perdere a Lubriano, piccolo centro del Viterbese con vista mozzafiato sui calanchi di Civita di Bagnoregio. Lo spettacolo va in scena, alle 17 e alle 21, in uno dei palazzi più belli della provincia, di cui si potranno visitare luoghi e scoprire segreti normalmente non visibili al pubblico: palazzo Monaldeschi. Sarà possibile partecipare all’appuntamento in tre diverse modalità: solo spettacolo (10 euro), spettacolo serale con cena-conversazione sul festival presso l’apprezzatissimo ‘Il Cervo Scarlatto’, locanda interna al palazzo, (25 euro) o soltanto cena-conversazione (15 euro). Il momento conviviale, al termine dello spettacolo delle 21, sarà l’occasione per imprenditori del territorio e appassionati di cultura per ragionare sulle linee programmatiche del Festival e discutere anche eventuali progetti. E’ necessaria la prenotazione all’indirizzo ufficiostampaquartieridellarte@gmail.com, visto il numero ristretto di posti a disposizione.  

L’anima di una città sta in gran parte nelle sue chiacchiere. Non solo nell’architettura o nella sua storia passata. I segnali vitali sono verbali: frammenti di parole, storie, discorsi, conversazioni di ogni tipo. Uno scrittore che vuole rendere il senso di una comunità deve innanzitutto riproporre le sue chiacchiere. Questo è verissimo nel caso della Dublino di Joyce, e quello che avviene nella biblioteca ne è un esempio raro e perfetto.

Scilla e Cariddi è l’episodio che lo stesso Joyce definì dialettico, una dialettica che è trattata non con gli alti valori socratici, e cioè con stati di avanzamento dell’idea grazie al contributo di tutti, ma con strappi ironici e a tratti violenti, e Joyce, attraverso la figura e i pensieri di Stephen Dedalus, mostra tutta la sua insofferenza nei confronti di ciò che oggi chiameremmo un salotto di intellettuali. Una dialettica di rango più basso, parafrasando Kantor, o almeno una combinazione dello spirito comico di Aristofane e della serietà e profondità delle conversazioni in stile socratico. La disquisizione di Stephen Dedalus sull’Amleto, è spesso chiamata la ‘lezione su Shakespeare’. Al tempo di Joyce la vera Alma Mater era la National Library in Kildare Street e sotto la benevolente e illuminata direzione di Lyster, il bibliotecario quacchero dell’episodio, gli studenti e gli intellettuali di Dublino si incontravano per leggere e discutere. Le loro conversazioni non erano fatte di dialettica formale del corso di filosofia, ma di dialettica viva che si fa nei saloni o negli uffici della biblioteca.

Alla fine della discussione in Scilla e Cariddi, Stephen Dedalus si chiede: ‘Che cosa ho imparato? Di loro? Di me?’ E’ una domanda di un artista, che guarda al suo futuro riflesso nella scena, piuttosto che la domanda di un critico letterario, intento a scoprire la verità sulle tragedie di Shakespeare, ma è la domanda giusta, quella vera, che forse soddisfa le principali aspettative della dialettica. Ma di cosa discutono? Il conflitto tra i partecipanti alla discussione nella biblioteca è di tipo intellettuale. Del resto l’organo dell’episodio è il cervello. Il germe che genera la trama e l’immaginario dell’episodio e che si connette con l’intera trama dell’Ulisse, è la discussione di Stephen su Shakespeare.

Egli prova a dimostrare con la massima serietà qualcosa che agli studiosi di Shakespeare suonerebbe davvero infantile. E cioè che Shakespeare non identificò se stesso con Amleto, ma con il re, con il fantasma, con il vecchio padre ucciso. Lungo tutta la scena della biblioteca, Stephen tenta di convincere i suoi ascoltatori, o pseudo tali. E’ ansioso e li vuole con i suoi discorsi impressionare, un antico ed evidente legame con il Ritratto dell’Artista da giovane, in cui Dedalus si dibatteva con foga e rabbia per l’affermazione. Ad opporsi come una cortina il pensiero platonico, la durezza dogmatica, la chiusura che spesso ignobilmente la religione fondamentalista offre al prossimo.







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