ANNO 14 n° 111
Punk forever, Vent'anni dopo, che poi sono trenta
>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<
19/08/2013 - 01:15

di Massimiliano Capo

Nel millenovecentottancinque d’estate faceva caldo. Molto più di adesso perché era caldo solo in quel periodo e non a caso come oggi che fa caldo a novembre e freddo a giugno.

Nel millenovecentottantacinque il sole picchiava forte anche a luglio e io ho fatto la maturità e sono stato promosso con quarantatrè e allora sono uscito dal Liceo Scientifico e volevo andare in vacanza.

Io nel millenovecentosettantanove ero stato a Riva dei Tarquini, nel millenovecentottanta a Londra e a Parigi in pullman, nel millenovencentottantuno a Cirò Marina, nel millenovecentottantatre in Grecia e nel millenovecentottantaquattro in Corsica.

Insomma, ero un viaggiatore.

Nel millenovecentottantadue invece smisi di esserlo e non mi sono mosso da qui perché mi hanno rimandato in tre materie tra cui latino con tre e ho rischiato di essere bocciato non fosse stato che all’esame di riparazione mi è capitata una versione che avevo già fatto durante l’anno e poi a ripetizione d’estate e che sapevo a memoria e che non ho sbagliato nulla e dopo due minuti volevo consegnare ma ho fatto finta di faticare e allora ho preso tipo dieci e la tipa prof. non mi ha potuto bocciare che ero quasi sicuro ne avesse voglia perché io a scuola sembravo davvero indisponente e lei non capiva che invece ero punk e pensava fossi solo stronzo.

Insomma, fatta la maturità, e tolto il millenovecentottantadue in cui non mi sono mosso, io ero tornato un viaggiatore. Più del solito.

Nel millenovecentottantaquattro il mio amico Stefano con altri tipi erano stati in Costazzurra, un posto nel sud della Francia famoso per le sue spiagge la ricchezza e soprattutto per la fica.

Insomma, la fica, anzi il miraggio della fica, perché a dire il vero io non l’ho mai vista in tutti quegli anni, era il tripadvisor degli anni ottanta. Andavi in vacanza e tornavi e invece delle stelline raccontavi e ascoltavi di fiche e culetti e non sul computer e su internet che al tempo non c’erano ma nei racconti di settembre, bilanci più finti di quelli di una media azienda italiana.

Nel mio caso inventavo e vagheggiavo. Soprattutto vagheggiavo che a dir cazzate si fatica troppo ma a raccontare senza dire nulla sono bravo.

E allora fiche e culetti a iosa ma finti come le stelle e le recensioni su tripadvisor.

Insomma, nel millenovecentottantaquattro Stefano e gli altri vanno in Costazzurra e al ritorno vagheggiano di spiagge bianche e assolate, di feste, di amenità irresistibili e cibi buonissimi e ragazze bellissime e a noi rimasti in zona ci sembrava tutto così bello che prima o poi ci saremmo dovuti andare per forza soprattutto perché, anche se nessuno aveva la certezza che avessero scopato, preferivamo pensare di sì perché così sarebbe successo anche a noi quando ci saremmo andati.

Perché le cose a pensarci tanto alla fine accadono. Come con le stelle cadenti. Basta stare attenti a cosa pensare.

E noi, io e Marino, ci andammo dopo la maturità nel millenovecentottantacinque pensando che avremmo rimediato amazzoni francesi, valchirie tedesche e chissà cos’altro.

Per la prima volta andavo in vacanza da solo con un amico e con lo zaino in spalla che faceva tanto viaggiatore e la canadese e il vento nei capelli perché i capelli al tempo li avevo e lunghi e l’avventura nel cuore.

Però per esser previdenti avevano prenotato una cuccetta per andare e una per tornare perché, nel millenovecentottantacinque come oggi, l’avventura va bene, il vento nei capelli pure, ma la cuccetta è più comoda.

Insomma, ci facciamo accompagnare alla stazione e saliamo sul treno. Viaggio notturno e nemmeno saliamo troviamo ragazzi e ragazze come noi che viaggiano dormendo nei corridoi col sacco a pelo e gli zaini a far da cuscino e noi ci siamo vergognati perché avevamo la cuccetta e allora abbiamo fatto i vaghi soprattutto con una tipa straniera che voleva farci posto e che era carina ma alla fine era tardi e allora abbiamo confessato e sticazzi dell’avventura e del vento nei capelli e abbiamo raggiunto la cuccetta perché il sonno è sonno e il letto pure.

E poi c’era un casino perché su quel treno viaggiava pure Cossiga che non so perché era su quel treno ma c’era.

La cuccetta era di seconda classe, perché un po’ di avventura comunque ci stava, ed era a sei posti. Nel millenovecentottantacinque come oggi.

Oltre a noi c’erano una mamma e una figlia, un tipo che non ricordo e un ragazzo nord africano che fu fatto scendere dal treno alla frontiera e che non vedemmo più.

Insomma eravamo sei ed era tardi e noi entrammo e svegliammo tutti e salutammo e salimmo al nostro posto che era quello più in alto e non c’era posto per i bagagli e allora io sistemo lo zaino come posso e Marino se lo mette sopra tipo coperta e viaggia cosi, scomodo da morire ma per l’avventura e il vento nei capelli ci stava bene. Soprattutto a raccontarlo dopo.

Io però alla fine non volevo partire perché ero innamorato perdutamente di una tipa e non potevo pensare di starle lontano nemmeno un minuto anche se lei non mi filava e poi non c’erano i cellulari e due settimane erano lunghe e io strippavo come mai nella vita al solo pensiero di andare e lei invece no e andava in vacanza con i suoi.

E in quella cuccetta di seconda classe con la madre e la figlia, il tipo dimenticato, il nordafricano scomparso, insomma in quelle ora trascorse là dentro capii che a me di stare in Costazzurra non mi andava davvero e che volevo tornare a casa e già bestemmiavo chi mi aveva fatto partire e insomma.

Insomma si fece mattina, una mattina calda come solo in Costazzurra, limpida da diventar ciechi di sole e noi scendiamo dal treno stravolti; Marino dal peso dello zaino stipato di cose e vestiti e ogni ben di dio e io dall’amore distante e lacerante e cazzo quanto stavo male.

Ustionato sulle spalle da una giornata al mare il giorno prima della partenza, non riuscivo a tenere lo zaino per più di qualche minuto ed ero costretto poi a trascinarlo, usciamo sul piazzale della stazione di Saint Raphael.

Io volevo risalire sul treno e ritornare e lo dissi a Marino che mi sfanculò e mi disse andiamo.

Avevo la guida di carta e non come adesso sull’iphone col gps che ti porta dove devo andare e che al tempo nemmeno l’avevano pensato e con la guida di carta cominciamo a cercare il campeggio a cinque stelle che avrebbe dovuto ospitarci per quelle lunghissime due settimane lontano dal mio amore Daniela.

Non ricordo più quanto camminammo ma ricordo come fosse oggi che il tasso di disperazione cresceva di pari passo con la stanchezza dello zaino in spalla, del campeggio introvabile e della sinistra sensazione di sfiga che mi sembrava ci accompagnasse su quel lungomare pieno di sole, negozi, ristoranti e di fica. Perché di fica ce n’era davvero.

Insomma alla fine decidiamo di chiedere a una tipa, l’unica come noi con lo zaino su quel lungomare da ricchi in costume di cashmir, e lei ci disse che quel campeggio a cinque stelle non sapeva dove fosse e che forse nemmeno esisteva ma però lei dormiva in un altro e allora seguitemi e noi andiamo e arriviamo davanti al cancello di una villa e suoniamo.

Ci apre una vecchia che se Lombroso avesse ragione doveva essere una ex sorvegliante di una qualche lontana colonia penale tanto era torvo il suo sguardo e incazzati i suoi modi. Ci ricevette in una stanza semibuia della villa che serviva da reception con uccelli in gabbia e una menomazione ad una mano che dava ragione a Lombroso una volta di più. Io almeno me la ricordo così come mi ricordo che ci riconobbe italiani e ci mise al sole con le tende che l’ombra la dava solo ai tedeschi e proprio davanti ai cessi, gli unici del campeggio, un via vai di gente a fare le loro cose che non finiva mai nemmeno di notte, che ognugno per fare le sue cose al bagno c’ha le sue abitudini e i suoi orari. E poi per il campeggio giravano dei cani. E io me ne ricordo uno grande tipo lupo che io al tempo avevo il terrore e tutta la notte pensavo venisse a mordermi e non dormivo e pensavo a lei e al cane ed era tutto dolore e spavento.

Insomma, al sole dopo ore di cammino, incazzati e sfranti e io con il cuore spezzato dall’amore lontano cominciamo a montare le nostre canadesi doppie, doppie per il miraggio di fare conquiste con i nostri corpi glabri e bianchi. E Marino montando la tenda rompe l’anello a cui fissare il paletto e poi la chiusura lampo del buco di ingresso, insomma dorme all’aperto e io che non rompo nulla dormo lo stesso all’aperto perché era caldo e sotto il sole tutto si infuocava dall’alba e non si poteva riposare mai.

Insomma, non era passato nemmeno un giorno e io volevo tornare a casa dal mio amore lontano e all’ombra fresca di casa dei miei e lontano dal cane lupo cattivo che una notte vomitò davanti alle nostre tende e.

E le giornate passavano lente col solo pensiero del mio cuore spezzato e Marino a cercare di consolarmi su quel lungomare pieno di fiche ricche e carine e sole e mare blu e lui a provare a fare il bagno e io nemmeno quello con la mia tuta con scritto kappa sulla coscia sinistra blu scuro e la fruit bianca a far la spola tra una paninoteca e una gelateria e cercare di dimenticare e a non riuscirci.

E la voglia di tornare alla fine vinse così tanto che dopo una settimana immobile dissi a Marino che tornavo e lui mi seguì di malavoglia perché lui lì stava bene e ci voleva stare e voleva uscire e io no sempre a pensare a lei che non pensava a me.

Insomma, la vacanza dopo la maturità io a Marino l’ho rovinata e ci si ride su solo dopo vent’anni quando il ricordo scolora il dolore degli amori mai nati e la sfiga diventa sorrisi e dettagli e malinconia dolce perché andare fino in Costazzurra per dormire su una panchina sfranto d’amore tanto valeva stare a piazza Crispi che almeno era più comodo.

Ma forse non me lo sarei ricordato così bene. E nemmeno lui, il mio amico Marino, che ancora ci ridiamo di ‘sta cosa e forse oggi m’ha addirittura perdonato. 

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