ANNO 14 n° 116
Punk forever, Mi coricavo sempre tardi la sera
>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<
17/11/2013 - 20:40

di Massimiliano Capo

Alla mia età si dorme sempre meno di quanto si vorrebbe. E, al contrario di Proust, io non amo coricarmi presto la sera.

Anzi, tutt’altro. Ed è per questo che poi ho quasi sempre sonno durante il giorno e sono rinco e non mi ricordo le cose e arrivato a letto che non vedo l’ora, alla fine niente, non dormo.

Quindi, tiro tardi e dormo poco.

Però a me questa cosa di far tardi piace, come anche questa cosa di dormire meno di prima. Perché prima, tanto tempo fa, quasi come nelle favole, c’era una volta che io dormivo fino a tardi e non volevo alzarmi mai, e dormivo dopo cena sul tavolo di cucina e poi sul divano davanti alla tele e la mattina era una fatica andare a scuola in orario pure se stava a cinque minuti da casa e la domenica arrivare cosciente a pranzo un miraggio.

Ma così mi perdevo un sacco di cose, in ossequio al proverbio che chi dorme non piglia pesci e che chi non lavora non fa l’amore che poi qualcuno prima o poi me lo deve spiegare che c’entra lavorare col fare l’amore visto che si scopa molto meglio quando si sta scialli che quando si hanno rotture e fastidi e impegni intorno.

Misteri della saggezza popolare e degli autori di canzoni soprattutto.

Che poi, a pensarci bene, nemmeno è così col dormire, perché quando io dormivo fino a tardi non c’era nulla da fare a notte fonda e nemmeno la mattina.

Non c’erano i mille canali televisivi di oggi, non c’era Spotify, non c’era Facebook, non c’era Internet, non c’erano i colori.

Insomma, era la preistoria più o meno.

Quando la tele era in bianco e nero, anzi era un impasto di grigi; quando i programmi finivano mezzanotte; quando la mattina c’era una immagine fissa e una musica classica di sottofondo almeno fino ad ora di pranzo.

E poi un giorno esce fuori un canale nuovo e io passavo le ore a casa a fissare lo sguardo dei pinguini in amore nelle trasmissioni di prova della tele a colori che non avevo.

Quindi io i pinguini li immaginavo colorati ma sempre grigi erano e se ripenso a quelle figure un po’ stinte e sbiadite nella memoria, mi ricordo anche del pane e nutella e del latte e caffè mangiati a merenda o dopo aver giocato a pallone in giardino e di Massimo Ranieri che cantava alla radio e la sera in tv e a me Massimo Ranieri mi piace da quel tempo lontano e da quando l’ho visto al cinema all’aperto nella piazza di Capodimonte, era estate e io stavo dai nonni e Massimo Ranieri era giovane e faceva la parte di Metello e io cantavo Erba di casa mia senza nemmeno capirla bene ma quanto mi piaceva.

Così come mi piaceva il gelato panna e cioccolato di Chiodo anche d’inverno e il pinguino con lo stecco di legno che ti si incollava alle dita e la spuma nera che metteva sete e la spuma rossa che sapeva di bitter e i bar in cui c’erano i biliardini e i tavoli da pingpong e rari biliardi vietati ai più piccoli per paura di vederli sfregiati dalle stecche usate male.

E insomma, sarà che a me di dormire presto non viene e non va, ma mi piace Proust.

Uno che ha scritto unaquantità impressionante di pagine per mettere in piedi una sorta di monumento alla memoria, più o meno volontaria, più o meno piacevole, ma senza memoria saremmo davvero poca cosa e se lo dice Proust è vero di sicuro.

E così questa mattina, mentre ripensavo a queste cose nel dormiveglia ancora impastato dei sogni della notte appena trascorsa, aperti gli occhi e intravisto il sole filtrare attraverso le persiane chiuse, ho deciso di alzarmi e di andare a Roma.

Ho chiamato i Justees che sono una coppia, lui Stefano e lei Ilaria, e insieme siamo partiti per un brunch al Maxxi. Perché meglio di un brunch a base d’arte la domenica mattina non ce n’è. E poi oggi non gioca nemmeno la Magica e allora via verso Roma.

Per chi non lo sapesse il Maxxi è il museo dell’arte contemporanea che sta vicino all’Auditorium di Renzo Piano.

Il Maxxi invece l’ha progettato Zaha Hadid, che è una architetto donna e bravissima e che ha progettato un involucro bellissimo e modernissimo e molto internazionale e dove vedere una mostra è davvero un piacere.

E poi c’è un giardino grande che oggi era pieno di gente al sole e al caldo di questo strano autunno e di bambini coi pattini, i monopattini e gli skate e insomma si stava bene e non sembrava nemmeno Roma per la calma e il silenzio che c’era.

E poi oggi al Maxxi abbiamo visto due mostre belle assai. Una, quella di JanFabre, aperta da poco e l’altra, di Francesco Vezzoli, che è lì da un po’ e che vale davvero la pena andare a vedere.

E poi pranzo veg e poi di nuovo a casa ma solo dopo aver provato il piacere di un dolcetto e un caffè verde in centro alla pasticceria ‘’Le cose buone’’ che le cose ce le ha buone per davvero e allora andateci.

Insomma, mi sono appena riletto e come al solito mi accorgo di aver divagato e di aver perso di vista l’argomento su cui volevo dir qualcosa e che oggi voleva essere l’arte contemporanea e che lo spazio è finito e che sembro uno che ha cento anni e che forse ho davvero sonno e sono rinco.

Ma ci provo lo stesso a dare un senso a queste righe e vi dico che l’arte fa bene e quella contemporanea fa meglio. Perché ci costringe a pensare anche quando ci viene da dire che quella cosa potevamo farla anche noi ma poi non l’abbiamo fatta e non l’abbiamo nemmeno mai pensata e allora forse dovremmo accantonare quel primo pensiero e applicarci un po’, faticare un po’, e dirci, e domandarci, se quella cosa che abbiamo davanti, qualunque forma abbia, qualunque materiale la tenga insieme, ci dice qualcosa. Se è in grado di parlarci. Di comunicare con noi, con le nostre emozioni profonde. Se sa farci ridere sorridere piangere, farci felici o pensosi o semplicemente più scialli di prima.

Perché l’arte contemporanea, che poi è quella che racconta il mondo che abbiamo intorno oggi, con tutti i suoi casini e anche con tutte le sue opportunità nuove e diverse ogni giorno, si fa tutt’una con la vita quando funziona. E, quando funziona, perché non sempre accade, ci mette in gioco così profondamente da trasformarci, da aprirci verso nuovi orizzonti e nuove dimensioni della nostra piccola esistenza su questa terra.

E ora via, verso nuove avventure.

C u.





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