ANNO 14 n° 89
Punk Forever, Baci e abbracci
>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<
09/12/2013 - 02:01

di Massimiliano Capo

Allora, cominciamo che è ora. Sollevo la testa dal cuscino, tiro fuori le braccia dal sotto il piumone, apro la finestra perché mi piace sentire l’aria buona appena sveglio e fuori è grigio come sempre. Fa freddo e così mi avvio a farmi il caffè americano e a prendere il buondì al cioccolato, tipo la colazione dei campioni.

Torno a letto con mug e merendina e prendo il portatile e bestemmio subito perché non lo accendo da un po’ e ci mette una vita a scaricare la posta arretrata e allora nel frattempo apro Spotify, seleziono Gianni Togni e avvio la radio che poi fa tutto lui, Spotify, e ti mette in fila le canzoni che secondo lui stanno bene con quelle di Gianni Togni e scopri che l’algoritmo che c’è dietro ha gli stessi gusti musicali di un coatto sintetico perché io parto da Ti voglio dire che poi è un capolavoro assoluto e lui mi mette a seguire due pezzi di due cantanti sudamericani che sono orrendi come tutti i pezzi sudamericani e noiosi come la musica andina di cui diceva Lucio Dalla. Fortuna che c’è il tasto vai oltre e li ho saltati e allora inizio a scrivere con Luca Barbarossa che canta Roma spogliata e allora mi ricordo che io Luca Barbarossa l’ho visto in concerto di pomeriggio a Prato Giardino saranno stati trent’anni fa e lui suonava in mezzo alla ghiaia bianca del piazzale dietro il laghetto saranno state le sei di un pomeriggio caldo e assolato ed erano lui e Mario Amici (che la memoria mi assista ma doveva chiamarsi così) e due chitarre e un tamburo sulle spalle come i cantanti girovaghi e l’armonica a bocca e tante cover dei pezzi di rock acusticodegli anni settanta e questa Roma spogliata che era andata pure a Sanremo e insomma guarda tu che mi vado a ricordare. Io poi Luca Barbarossa l’ho rivisto e gli ho pure sorriso e mi ha sorriso anche lui perché si fa così che mai lui si poteva ricordare di me anche se ad ascoltarlo quel giorno a Viterbo eravamo quattro di numero ma a me era piaciuto, e insomma dicevo che l’ho rivisto con una sua fidanzata di allora molto bella a Madonna di Campiglio in una delle mie trentaquattro settimane bianche della mia vita ed eravamo nello stesso locale, in una disco che forse c’è ancora e che si chiamava La Zangola e dopo per saperlo chiamo Pitone che lui delle disco sa tutto e pure se hanno chiuso nel frattempo o sono ancora aperte.

E poi l’altra sera – tutto si tiene, davvero tutto, benedette energie cosmiche – mi arriva una telefonata del mio amico di sempre Stefano che era con me in quella settimana bianca come in tutte le altre e mi dice che si era messo ad ascoltare un vecchio album degli Style Council, sarà stata la metà degli anni ottanta quando lo sentivamo fino allo sfinimento, e aveva nostalgia di quei giorni e che voleva organizzare una cena tutti insieme, gli amici del tempo e i compagni del liceo, per abbracciarci e salutarci perché lo facciamo troppo poco presi ognuno dalle proprie cose pure se viviamo a due metri l’uno dall’altro e Stefano ha ragione perché bisogna abbracciarsi e guardarsi negli occhi di più e ridere e sorridere e magari piangere anche un po’ e non perché il tempo passa e non siamo più come prima ma perché il tempo passa ma noi siamo ancora qui e ci vogliamo bene e abbiamo tanti bei ricordi dentro e anche quelli meno belli che poi alla fine a ripensarci oggi non sono poi così male e allora falle ‘ste due telefonate e stiamo insieme.

Magari poi, quando tutti sono andati, come sempre rimaniamo in tre a parlare tutta la notte, come tutte le notti di allora, di musica calcio e fica e amore.

Che poi la vita è musica calcio e fica e amore, mica altro.

E poi ieri sono andato a fare le foto alla recita di Natale di Giorgia, la mia punknipote, che va all’asilo dei grandi come dice lei, che di anni ne ha quasi cinque e che ieri ha cantato ballato e recitato la poesia.

Io Giorgia l’ho conosciuta così: ero al mare e sono passati quasi sei anni. Ero a Vieste ed era caldo e stavo sulla spiaggia sotto un ombrellone, vestito come sempre perché sennò mi ustiono e non ero granché felice perché stavo male anzi malissimo per amore perché solo per amore si sta male in quel modo che fai di tutto per non pensare ma senza voglia di far nulla, che anche il mare il sole e il caldo ti sembrano inutili perché vorresti essere altrove, tra le braccia di chi non ti ha voluto più e farci l’amore, altro che la Puglia e il Gargano e il mare blu e la sabbia gialla e pesce a colazione pranzo e cena e paesaggi da sogno e tu invece staresti anche alle foci del Tevere in mezzo alla merda ma solo dentro quelle braccia bionde e con gli occhi chiari e quelle labbra sottili e rosa che tante volte ti hanno stretto guardato baciato e fatto l’amore che non ti importa niente di nulla e allora sono solo cazzi e bestemmie.

E insomma ero lì sotto quell’ombrellone e mi arriva una telefonata da mia sorella che pensavo volesse chiedermi come stavo perché sapeva quanto ero triste e invece mia sorella mi dice sono incinta e io fortuna che ero sdraiato perché altrimenti sarei caduto a terra e mi sono messo a piangere ma facendo finta di niente perché non sapevo proprio cosa fare e volevo ripartire subito e tornarmene a casa come avessi potuto essere utile a qualcosa a una sorella incinta e da quel momento però ho pensato solo a quel mistero insondabile dell’esistenza che è la magia di una vita nuova, di un progetto di vita tutto da immaginare, altro che lo spermatozoo e l’ovulo e la fecondazione e insomma tutte le menate della scienza. A me piace di più pensare che sia l’amore, quello che guida il cosmo, e che mette insieme due persone e solo loro e poi si amano e si baciano e allora nasce una cosa meravigliosa e ti guarda e parla ed esiste solo lei e la voglia di vederla sempre felice. E io Giorgia che nasce l’ho vista ed ero lì che per poco mi sento mancare e ho pianto pure allora nel vederla piccola e piena di capelli e poi ho riso nel vederla crescere piano piano e cambiare e io cambiare con lei che oggi mi chiede le cose con tutti i suoi perché ed è curiosa e a me sembra un genio e si inventa delle storie meravigliose con dei personaggi punk come pochi e fa le pose davanti alla macchina fotografica e mi spiega la danza classica e giudica meglio dei giudici di Maria De Filippi quando si tratta di cantanti e ballerini.

Insomma ieri ero a questa recita e alla fine dello spettacolino tra gli applausi di tutti i babbi e le mamme ha preso il microfono la madre superiora e ha fatto un piccolo discorso e io che non sono particolarmente religioso come sempre quando succedono queste cose mi sono invece trovato lì a pensare alle cose che stava dicendo che io avevo letto da qualche parte e mi sono ricordato che più o meno le aveva scritte Levinas che è un filosofo che a me piace e quella suora ha ricordato a tutti l’importanza del volto, del volto dell’altro che incontriamo lungo la nostra strada e che riconoscere quel volto è il nostro faticoso compito che la vita ci ha assegnato. Riconoscere il volto dell’altro è rendercelo fratello e sorella, è farlo entrare nella nostra vita col sorriso accogliente e caldo, è la com-passione che ci fa condividere, insomma è quel senso di comunità includente che poi è il messaggio di quel tipo in croce che risponde al nome di Gesù Cristo e che credenti o meno da quella croce ci racconta il sacrificio di un uomo per gli altri uomini, nessuno escluso, quel senso di comunità umana che da calore alle nostre esistenze terrene.

Come al solito l’ho fatta troppo lunga ma pazienza.

Per gli auguri di Natale c’è ancora tempo, ma per baci sorrisi abbracci e gentilezza siamo già in ritardo. Quindi hurry up.

E ora è tempo di albero e presepe.





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