ANNO 14 n° 110
Punk Forever, A cosa possiamo credere
>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<
23/06/2014 - 00:01

di Massimiliano Capo

''Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Le isoterme e le isotere si comportavano a dovere. La temperatura dell’aria era in rapporto normale con la temperatura media annua, con la temperatura del mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell’anello di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano conforme alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atmosferica era scarsa. Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata''.

Il buon vecchio Musil e il suo Uomo senza qualità hanno ragione. È proprio una bella giornata.

L’estate è arrivata, il solstizio è stato festeggiato e io mi aggiro per casa in t-shirt e pantaloncini corti pronto per una crociera a cui non andrò mai.

Ho davanti a me più di tre quarti di foglio bianco da riempire, il pranzo che incombe, la redattrice fashion che mi sollecita dicendo di non sollecitarmi ma anzi di prendermi tutto il tempo che voglio e seguire il mio istinto che non sbaglia mai e allora vado avanti con fiducia e vediamo alla fine cosa esce fuori.

Dicevo del buon vecchio Musil e del suo Ulrich, l’uomo senza qualità, e della sua Vienna di inizio secolo scorso, e del rapporto difficile col loro tempo che avevano entrambi, piazzati dal caso a cavallo di una crisi che portò alla prima guerra mondiale ma che prima di essere economica e politica si sarebbe detta, in altri tempi, di valori.

Insomma, come spesso accade nel corso della storia, a un certo punto, più o meno magicamente, cambia tutto e tutti siamo un po’ spaesati a cercare di capire cosa ci sta accadendo, cosa sta accadendo alle nostre certezze, quelle a cui ci aggrappiamo ogni volta che ci viene l’ansia perché qualcosa non torna o non è più esattamente come l’abbiamo sempre vista e ci si sposta il punto di osservazione, la prospettiva con cui l’occhio ha ricostruito per noi il mondo là fuori.

E allora è un bel casino e bisogna sedersi comodi comodi e così, col culo al caldo, ci mettiamo a cercare di ritrovare il bandolo della matassa per poi ripartire più incerti e malfermi di prima ma con l’idea, almeno per gli inguaribili ottimisti come me, di aver imparato qualcosa di nuovo per poi ricominciare da capo al primo stormire delle foglie del cambiamento.

E così, passiamo rapidamente da una certezza all’altra con grande disdoro dei fanatici delle identità fisse che nemmeno le stelle.

E ogni volta cerchiamo di prenderci quelle che ci fanno stare meglio.

E Ulrich ci dice proprio questo (anche quando non vorrebbe farlo), nell’affastellarsi di storie riflessioni aforismi di cui è costellato il romanzo:che tutto questo affanno è un bel po’ inutile e che a costruire una visione del mondo tutta perfetta e chiusa in se stessa alla fine si rinuncia al mondo stesso e non a caso quel librone in due tomi si apre con un capitolo che si intitola ''Capitolo primo. Dal quale, eccezionalmente, non si ricava nulla’’e le sue tante storie non arrivano mai ad una conclusione.

Una di quelle conclusioni che ci fanno chiudere il libro soddisfatti e rilassati, tranquilli di aver fatto bene il nostro compito di lettori.

Perché, in fondo, è quello che ci aspettiamo leggendo e che ci aspettiamo anche dalla vita: e cioè che tutto giunga ad una sintesi, che tutti i tasselli del puzzle incasinato che abbiamo davanti agli occhi assumano una forma comprensibile e che quella storia di cui siamo parte ci porti in qualche luogo.

È la fine di una storia a rassicurarci, quel punto alla fine dell’ultima pagina di un libro o di un pezzo di vitaa cui guardiamo con passione, quel punto da cui ripartire con la certezza che almeno fin lì ce la siamo scampata bene, magari anche con un sorriso soddisfatto, quello che ci viene sul viso quando pensiamo di aver capito tutto.

E invece no.

Ulrich ci insegna a non cercare le risposte e, in quel fine pagina, saltare il punto e la parola fine e continuare a cercare.

E non si tratta di nichilismo all’ingrosso, di dire che nulla vale o che, fa lo stesso, ogni cosa vale, cadendo in un relativismo che ha fatto e fa più danni della grandine fuori stagione, ma di mettersi in cerca di una risposta sapendo che di risposte, di quelle per sempre, non ce ne sono.

E che a guidarci, meglio di ogni altra cosa, sono proprio le domande.

Ulrich, per tutte quelle mille pagine, si chiede a cosa si può credere e noi con lui, anche a distanza di un secolo esatto, siamo qui, ancora a chiederci la stessa cosa.

E vale per le cose che stanno fuori e intorno al nostro mondo terreno, quelle grandi grandi che ci vengono in mente guardando al cielo di sera, e vale anche per le cose che ci accadono ogni giorno e che ci fanno chiedere e poi scegliere: dagli amori alle amicizie e agli affetti, dal prato in cui rotolarsi per fare l’amore alla spiaggia da cui guardare il mare.

A cosa possiamo credere?

Buon lunedì.





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