ANNO 14 n° 89
Proust in cucina Fuzzy poesia e fichi secchi ripieni
>>>> di Massimiliano Capo <<<<
17/11/2014 - 00:01

di Massimiliano Capo

VITERBO -C’è una poesia bellissima, l’ha scritta Giovanni Raboni e fa così, quasi fosse una canzone: ''Le volte che è con furia/che nel tuo ventre cerco la mia gioia/è perché, amore, so che più di tanto/non avrà tempo il tempo/di scorrere equamente per noi due/e che solo in un sogno o dalla corsa/del tempo buttandomi giù prima/posso fare che un giorno tu non voglia/da un altro amore credere l’amore''.

E poi c’è Goedel.

Ora, chi è questo Goedel? Goedel è un matematico nato in Moravia e poi naturalizzato cittadino americano a cui si devono i (due) teoremi di incompletezza.

Ecco, detta così non è che spieghi poi molto. Proviamo aggiungendo qualche dettaglio.

Allora, immaginate che dopo qualche secolo in cui filosofi, matematici e logici avevano speso molto del loro tempo a cercare di trovare il modo di rendere i loro complicati sistemi capaci di rispondere coerentemente a tutte le domande che potevano essere loro poste rimanendo coerenti anche a se stessi, arriva un tipo occhialuto e con i capelli segnati da un ciuffo bianco proprio sul davanti, (sì, proprio Goedel) che all’inizio degli anni trenta del secolo scorso se ne esce con questi due teoremi che in sintesi dicevano che tutto lo sforzo fatto era stato inutile: anche il sistema più sofisticato si regge su delle premesse (il dio della matematica mi perdoni, lo so che non si chiamano così) che sono indimostrabili utilizzando gli strumenti offerti dal sistema stesso.

Cioè, bum.

E allora tutti a strapparsi i capelli perché se anche la matematica e la logica cominciavano a vacillare allora erano davvero cazzi amari. Che erano queste premesse indimostrabili? Come si poteva tollerare che non tutto fosse riducibile ad una spiegazione?

Ora, qui per qui, può sembrare (colpa mia che non mi so spiegare e non certo del vecchio Kurt) una cosa da poco, una sega come tante altre e assolutamente lontana dalla vita cosiddetta reale ma, e c’è un ma grosso come un grattacielo, invece questa cosa ha a che fare con noi e con la nostra vita molto più di quanto possiamo immaginarci.

Negli stessi anni cominciavano ad essere progettati e costruiti i primi calcolatori elettronici a cui affidare sempre più funzioni della nostra esistenza quotidiana.

E più se ne costruivano di grandi e capaci di fare calcoli fino a poco prima impensabili, più si doveva prendere atto dei limiti che avevano, soprattutto in relazione alla capacità di pensare. Di pensare come noi essere umani: cioè tenendo conto di tutta la bella imprevedibilità della vita, delle mille sollecitazioni a cui siamo sottoposti ogni volta che decidiamo di fare o non fare una cosa, insomma del casino più o meno organizzato con cui abbiamo a che fare ogni mattina che solleviamo la testa dal cuscino, ci stiriamo malamente e raggiungiamo stanchi la macchina del caffè per cominciare la giornata con la colazione dei campioni.

Insomma, e senza volerlo tirare troppo per la giacchetta, il buon vecchio Goedel andrebbe ringraziato per averci reso la matematica e la logica più simpatiche, più umane: una buona compagnia, questa versione un po’ fuzzy, per una bevuta in riva al mare al tramonto, con la ragazzina dai capelli rossi stretta stretta e nella testa solo il desiderio di far presto a far l’amore e tutto il carico di mistero che solo l’amore cosmico ha a farci compagnia.

Perché è proprio quell’alone di mistero, di irrisolto, di colore, ad aver rimesso in campo Goedel in quel lontano 1931 dove tutto sembrava dover essere necessariamente o bianco o nero.

E poi c’è un altro poeta. Che oggi mi sento così.

È russo e si chiama, anzi si chiamava, Chlebnikov. Velimir Chlebnikov.

E ha scritto questa cosa qui: ''Le ragazze, quelle che camminano,/con stivali di occhi neri/sui fiori del mio cuore./Le ragazze, che hanno abbassato le lance/sul lago delle proprie ciglia./Le ragazze, che si lavano i piedi/nel lago delle mie parole''.

E io, questa cosa qui, la trovo così bella che vorrei che la leggessero tutti e che tutti, almeno una volta nella vita, sentissero i passi degli stivali di occhi neri sui fiori del proprio cuore.

Buon lunedì, dolce come i fichi secchi ripieni di mamma Silvana che tanto piacciono a Giuseppe Fraticelli.

Ecco la ricetta:

mezzo chilo di fichi secchi

gherigli di noci (un paio di pugni)

nocciole (un paio di pugni)

scorza di di tre mandarini di media grandezza

300 gr di cioccolato fondente

una grossa noce di burro

Sminuzzare le noci, le nocciole e le scorze di mandarino.

Aprire in due i fichi secchi e imbottirli con un paio di piccoli pezzi di noci, di nocciole e di scorza

Preparare una glassa sciogliendo il cioccolato fondente con l'aggiunta di una grossa noce di burro e, con l'aiuto di una pinza per alimenti o di una forchetta, tuffarvi i fichi imbottiti e richiusi, facendo attenzione a che non si aprano.

Quindi adagiare i fichi con il cioccolato su un piatto di portata e attendere che il cioccolato si sia solidificato.

Buon appetito!





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